Banche, il tema non è la malagestione

Alberto Bagnai 21 Dicembre 2015

Il 22 novembre scorso il governo ha “salvato” quattro banche da tempo in cattive acque espropriando i detentori delle loro obbligazioni subordinate. Media e influencer di vario spessore hanno parlato di un’amara ma giusta lezione inflitta ad avidi e imprudenti speculatori (i pensionati). La tragica fine di Luigino D’Angelo ha reso inopportuna questa strategia comunicativa, già di per sé infondata. Si è allora rispolverato un evergreen, il tema del se sò magnati tutto: da speculatori, i pensionati sono diventati vittime delle malversazioni e del nepotismo che pare abbiano caratterizzato la gestione di alcuni istituti. Lettura meno infondata, ma ugualmente volta a offuscare la natura dell’accaduto.

In Italia se sò sempre magnati tutto. Tuttavia, come ricordava il 9 dicembre scorso Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza di Bankitalia, alla Commissione Finanze della Camera dal 1936 i risparmiatori italiani non hanno perso “una lira o un euro in relazione a crisi, anche gravi, di singoli intermediari”. E allora perché questo bagno di sangue arriva proprio ora? Lo spiegava la European Banking Authority (EBA) in una nota del 31 luglio 2014, intitolata “Collocazione di strumenti finanziari presso i depositanti e gli investitori non professionisti” (disponibile in italiano sul sito vocidallestero.it): il punto è che non si tratta di singoli episodi, di per sé gestibili con una vigilanza più oculata e se del caso con l’intervento della magistratura, ma di un problema sistemico, previsto dalle autorità europee. Un anno fa l’EBA chiariva infatti che la situazione creatasi con l’Unione Bancaria forniva un doppio incentivo alla collocazione di titoli subordinati presso investitori non professionisti.

Il primo incentivo è dal lato dell’offerta: questi titoli, proprio perché soggetti a esproprio (tu chiamalo, se vuoi, bail-in…), consentono alle banche di rientrare nei requisiti di capitalizzazione stabiliti dall’Europa, in un periodo nel quale forme più convenzionali e trasparenti di raccolta risentono delle dinamiche della crisi. Insomma, per l’Europa le banche possono “rafforzarsi” anche chiedendo ai propri clienti soldi che alle brutte possono tenere per sé. I clienti dovrebbero essere avvertiti del problemino, ma c’è un ovvio conflitto di interessi, amplificato dalla prassi di premiare chi colloca prodotti simili, i cui rischi, secondo la stessa EBA, sono difficili da valutare perché “esacerbati dall’incertezza che circonda le modalità pratiche di esecuzione dell’esproprio”.

Il secondo incentivo è dal lato della domanda. Il QE di Draghi ha azzerato i tassi su attività prive di rischio come i titoli pubblici, incitando i risparmiatori all’acquisto di titoli più remunerativi, ritenuti erroneamente sicuri per due motivi: perché i venditori non ne evidenziavano i rischi (vedi alla voce: conflitto di interessi), e perché, come dice Barbagallo, da 79 anni i risparmiatori non avevano perso un centesimo investendo in operatori vigilati e tutelati da un Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD).

Emergono così due problemi sistemici: uno economico e l’altro politico. Vi ricordate quelli che il dividendo dell’euro, quelli per i quali l’euro, abbattendo il costo del denaro nei paesi del Sud Europa, ci offriva tante opportunità? Fatti e ricerca scientifica dicono altro. I bassi tassi di interesse sono stati rovinosi, perché hanno incentivato gli imprenditori ad indebitarsi troppo (ponendo le premesse del dissesto proprio e delle loro banche), hanno consentito a tanti di improvvisarsi imprenditori “perché tanto il denaro costa poco” (deprimendo la produttività del paese – lo afferma Gita Gopinath di Harvard), e hanno spinto i risparmiatori ad assumersi rischi eccessivi (lo dice l’EBA). Ma i tassi sono così bassi perché il QE è l’unica speranza di tenere insieme l’Eurozona: i media ci hanno ripetuto in tutte le salse che Draghi stava rilanciando l’economia europea. Il rilancio non si è visto, l’ulteriore distorsione sul mercato del credito sì.

Poi c’è l’aspetto politico. In assenza di un fondo europeo di tutela, previsto fra otto anni (ma Schaeuble ha già detto “Nein!”), Barbagallo chiarisce che le autorità italiane prima si sono viste negare il rinvio dell’esproprio al 2018 (per informare i risparmiatori e dar loro il tempo di optare per soluzioni meno rischiose), poi il ricorso al FITD, derubricato a “aiuto di Stato”, quando paesi come la Germania avevano erogato fino al 2014 aiuti per oltre 200 miliardi. A quelli che “le regole europee ci moralizzeranno“ va il mio abbraccio e una serena constatazione: un sistema che fa sistematicamente due pesi e due misure è intrinsicamente immorale, e comunque possono permetterselo solo quelli che hanno il coltello dalla parte del manico. Noi, per ora no. Quando ci sganceremo sarà sempre troppo tardi.

Alberto Bagnai
Il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2015

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