Squilibri interni risolti impoverendo i lavoratori

Alberto BagnaiMario Sensini 7 Luglio 2015

Intervista di Mario Sensini ad Alberto Bagnai

«La Grecia può portare buone carte alla sinistra solo se Tsipras romperà il giocattolo dell’euro. Forse allora anche i pasdaran del neoliberismo, i sindacalisti, si convinceranno che la moneta unica, come vediamo, porta solo all’impoverimento dei lavoratori»

Per l’economista Alberto Bagnai, convinto da anni del necessario fallimento dell’euro, “costruzione sbagliata dalle sua fondamenta”, il caso della Grecia è la prova del nove. Per la moneta unica, ma anche per la sinistra.

«In Grecia si vedono tutti i limiti del progetto dell’euro. L’idea era che con la stessa moneta i Paesi deboli avrebbero importato da quelli forti regole e disciplina, ma il risultato è stato ben diverso. Con il costo molto basso i paesi periferici si sono indebitati troppo».

Perché la moneta unica sarebbe un progetto a scapito dei lavoratori?

«Perchè nell’impossibiltà di svalutare la moneta gli squilibri si risolvono svalutando il lavoro. Lo avevano capito anche Giorgio Napolitano e Luciano Barca nel 1978, quando il Pci ruppe l’intesa con il governo Andreotti sull’ingresso dell’Italia nello Sme. Dicevano che quel progetto era deflazione e recessione antioperaia. Perché poi la sinistra abbia perso questa consapevolezza, è un progetto che dovranno vedere gli storici».

Per ora dal Pd è uscito Stefano Fassina, che nelle ultime settimane ha partecipato a molti dibattiti con lei.

«Mi ha scritto una bella lettera, che pubblicherò. La sua scelta muove proprio da una riflessione sulla subalternità della sinistra alle logiche del capitale, che secondo Fassina si può misurare nella distanza tra il Napolitano del ’78 e il Napolitano che ha gestito il governo Monti. Purtroppo non è una riflessione diffusa o diffondibile nel Pd. Che oggi questi signori non capiscano quel che diceva Barca mi pare strano. E non capisco se questa sinistra del Pd non può, o non vuole allargare la base di consenso».

Matteo Salvini lo sta facendo, sfruttando le sue tesi.

«Non vorrei fare il lamento dell’amante tradito. Non sono un genio: io ho trascritto in modo divulgativo i principi dei manuali di economia. Sono due libri in difesa del lavoro contro un certo capitale, rivolti esplicitamente alla sinistra e la situazione paradossale è che un leader politico con cui non ho niente a che spartire, ma che comunque rispetto perché viene votato, cita i miei lavori, dice che gli hanno fatto cambiare idea e lo fa in pubblico. Per le dinamiche perverse della politica, poi, il fatto che Salvini con intuito abbia sposato certi temi spinge la sinistra, con un riflesso pavloviano, a ignorarli».

A sinistra di Renzi non c’è più niente?

«Fassina esce in un deserto culturale dove gente come Landini o Cofferati ha lo stesso livello di consapevolezza, di analisi e di coscienza, o non coscienza marxista, di Oscar Giannino».

E i sindacati, da cui eravamo partiti?

«Nel momento in cui appoggiano l’idea che l’inflazione è nemica del lavoratore, perché erode il suo potere d’acquisto, praticamente si condannano all’estinzione. Per controllare l’inflazione, in teoria, basta una banca centrale indipendente. Un sindacalista che inneggia alla deflazione è un sindacalista morto. Loro si dovrebbero preoccupare dei salari, ma a sinistra anche questo concetto sembra totalmente perso».

Mario Sensini
Corriere della Sera, 5 luglio

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