Asimmetrie

Panagiotis Grigoriou 15 Dicembre 2017

Traduzione a cura di Rododak del post di Panagiotis Grigoriou sulla sua partecipazione alla sesta edizione del convegno Euro, mercati, democrazia, postato originariamente su Greek Crisis. 

Pioggia e vento. In passato in questo periodo credevamo di preparare il Natale. La scorsa settimana, gli amministratori coloniali della Troika hanno trascorso il loro solito soggiorno ad Atene, per ricevere i ministri-istrioni locali all’hotel Hilton. Si tratta in particolare di sorvegliare la puntuale esecuzione del programma di annientamento della loro preda. Il 2018 sarà l’anno in cui il processo di degrecizzazione dell’economia diventerà più veloce, passando per il sequestro dei beni dei greci, sia privati sia pubblici. I ministri di Tsipras sorridono costantemente alle telecamere, e i greci li odiano. Sì, è odio, e questo significa l’assoluta scomparsa dell’atto politico.

Le aste, oggi online, degli immobili sequestrati dalle banche e dal “fisco greco” sono state in grado di riprendere, secondo una richiesta storica e insistente delIa Troika. I media riferiscono che saranno liquidati più di 18.000 immobili, ed è solo l’inizio. Va notato che coloro che perdono la loro proprietà (e più spesso si tratta di case e appartamenti utilizzati come prima casa) non avranno il diritto di “riscattarli” al 5% del loro valore (attraverso un accordo con le “loro” banche, per esempio), né, come regola generale, potranno farlo gli altri cittadini del paese. Perché gli acquirenti (i soli autorizzati a “ricomprare” questi beni al 5% del loro valore) sono esclusivamente legati ai famosi fondi esteri, o in alcuni casi ai loro partner greci, selezionati attraverso un vaglio molto severo.

Aste immobiliari dopo il sequestro. Atene, 2017 (fonte: stampa greca)

In effetti, tutto lascia pensare che il 2018 sarà l’anno in cui il processo di degrecizzazione dell’economia (incluso il sequestro di beni privati e pubblici dei greci), accelererà. La proprietà pubblica e privata sarà gradualmente ceduta ai nuovi proprietari del paese. In questo modo si colpisce la spina dorsale economica e simbolica della società greca, perché si perde il proprio patrimonio immobiliare in un paese in cui lo Stato, nella storia, difficilmente è stato considerato l’ultimo rifugio (e giustamente), mentre lo è sempre stato il proprio tetto, tanto quanto la propria compagine familiare. Contemporaneamente, questo è lo stesso processo che renderà i lavoratori greci schiavi dei padroni rimasti nel paese, e anche di quelli della futura probabile industria tedesca, a meno che la robotizzazione non decida altrimenti, (e questo) prima del previsto.

Le seconde case dei greci sulla costa e sulle isole diventeranno con il tempo case quasi di residenza per i cittadini europei in pensione, mentre le case di residenza dei Greci già sequestrate saranno perdute per sempre. Inoltre, ed è già percepibile, diverse attività legate al mare, al turismo, al settore agricolo, tra l’altro, sono già in procinto di passare sotto il controllo straniero. Potremmo sentirci ribattere che “questo è il risultato di una bancarotta totale, di un enorme debito pubblico e privato, che è peraltro sottoposto al sole bruciante della globalizzazione”. Un ragionamento intenzionalmente semplicistico e riduttivo, perché costituisce un elemento essenziale nella guerra psicologica e, in una parola, asimmetrica, che la Grecia, con altri paesi, popoli e società, subisce e subirà.

Vendita all’asta di beni immobiliari. Atene, 2017 (fonte: stampa greca)

Sappiamo anche che durante questo processo alcuni greci beneficeranno del bottino, senza la minima vergogna, secondo quanto vediamo. Sono le stesse persone che ne stanno già beneficiando come consulenti, liquidatori (come la società Qualco, di proprietà del cugino Orestis del ministro delle Finanze Tsakalotos, per esempio) e i collaboratori di diversi studi legali specializzati, impegnati sul posto dai fondi di acquisizione, in modo da portare a termine il lavoro finale, con la gentile partecipazione delle istituzioni greche, che dovrebbero proteggere i cittadini (le forze dell’ordine, la Giustizia, i notai). Da sottolineare anche che la cosiddetta “legge Katseli”, dal nome dell’ministro in carica all’inizio del Memorandum, che proteggeva la prima casa dai sequestri, è stata ampiamente modificata, fino a diventare praticamente inefficace.

L’impressione è che se questo “governo” non viene rovesciato, se i cittadini non reagiscono, o se non scoppia una guerra civile (immaginando uno scenario terribile ed estremo), alla fine potrebbe realizzarsi una certa crescita economica, quella citata dai nostri ministri-istrioni. Naturalmente la classe media greca sarà stata completamente distrutta molto tempo prima, e i greci non trarranno alcun beneficio da questo ritorno della crescita, con l’eccezione di questa nuova “élite” in gestazione, tra l’altro in parte legata anche alle vecchie caste del nepotismo politico-finanziario e, per dirla tutta, mafioso… nella terra degli Efialti eternamente rinnovati.

I greci difficilmente trarranno beneficio da questo ritorno alla crescita, né dagli investimenti che alla fine arriveranno, dal momento che i beni pubblici e privati non saranno più dei greci. Del resto i capitali già arrivano, ad esempio per acquistare appartamenti ed edifici messi in vendita in lotti. E questa nuova “élite” vivrà in quartieri sempre più protetti, lontano da plebei e migranti, come avviene in altri paesi nelle Americhe e in Asia, e possiamo anche scommettere che l’economia della colonia alla fine produrrà a ciclo continuo “esuberi”. Come senza dubbio avrebbe detto Racine ai suoi tempi: “E per renderci felici, perdiamo i miserabili”, non è altro che un metodo.

E ancora, diventerà finalmente evidente ai padroni del Paese che la ristrutturazione del debito greco è un modo per far pagare la presunta ripresa dell’economia greca ai cittadini di altri paesi della funesta Unione europea, visto che dal 2012 le banche private francesi e tedesche sono state salvate dal debito greco (questo era l’obiettivo del “gioco”, tra l’altro, e non il “salvataggio della Grecia”, persino secondo le recenti ammissioni di un certo Jeroen Dijsselbloem arrivato a fine mandato).

La nuova situazione è ormai abbastanza consolidata: i salari effettivi sono arrivati a un quarto rispetto a quelli precedenti al 2010, i contratti collettivi sono stati aboliti e dalla scorsa settimana gli amministratori coloniali della Troika allargata (oltre ad avere raddoppiato l’importo delle multe legate al Codice della Strada) hanno finalmente ottenuto dai burattini Tsiprosauri una sostanziale limitazione del diritto di sciopero dei lavoratori dipendenti, semplicemente con la modifica del processo decisionale all’interno delle aziende, e – ancora – rendendo illegale ogni sciopero avviato esclusivamente dai sindacati centrali e non dai sindacati all’interno dell’azienda, caso per caso.

I greci avranno ormai capito che i “loro” sindacati centrali hanno svolto in modo perfetto il ruolo della valvola di sfogo nella pentola a pressione sociale durante i primi anni dell’occupazione (troikana). E questo dopo avere organizzato tra il 2010 e il 2013 molti scioperi e disparate manifestazioni, il più delle volte in una disunione davvero esistente perché programmata, il tutto ammantato in un linguaggio storico-rivoluzionario. A missione compiuta, questi “sindacati”, del resto finanziati anche dai fondi dell’Unione europea, possono ora scomparire, dopo più di trent’anni di riformismo: non saranno le loro ultime manifestazioni di una giornata ad Atene e Salonicco a cambiare la situazione.

Il “Parlamento-WC”. da Kathimerini, dicembre 2017

E nello stesso momento, della fine degli scioperi, oltre a chi manifesta la sua rabbia estrema nelle aule giudiziarie per il sequestro e la vendita all’asta delle sue proprietà, ci sono anche gli abitanti di Mandra (dopo le inondazioni subite lo scorso novembre), che hanno fatto irruzione durante la sessione plenaria del Consiglio regionale sotto la presidenza della fedelissima di Syriza Rena Doúrou; e gli scontri sono stati animati. E per renderci felici perdiamo i miserabili e insieme a loro, il loro Paese. In Grecia ormai regna un’atmosfera di rabbia opaca, odio e disperazione.

A questo contesto si aggiunge il triste teatrino delle ombre degli eventi regionali e internazionali, che ormai percepiamo chiaramente. In un dibattito pubblico a cui ho partecipato di recente ad Atene, si è parlato della liquidazione in corso della Repubblica di Cipro, voluta dalle potenze marittime (Stati Uniti e Gran Bretagna con la gentile collaborazione delle Nazioni Unite e l’UE). Un processo (quasi) senza precedenti, di cui si è parlato su questo blog nel dicembre 2016 (tre articoli dedicati alla pseudo-pacificazione di Cipro in corso attraverso i “negoziati” di Ginevra, a dicembre 2016 – gennaio 2017).

L’attualità di questo dibattito era legata alla recente pubblicazione del saggio dedicato a questo argomento dall’analista geopolitico e giornalista Dimitris Konstantakopoulos. Tra i partecipanti al dibattito, Dimitris Belandís, giurista, avvocato, dimessosi dal Comitato centrale di Syriza nel luglio del 2015, ha sottolineato la totale incostituzionalità dei fatti che si svolgono sotto i nostri occhi, e la palese violazione dello Statuto dell’ONU: e questo è solo l’inizio.

Ricordiamo brevemente che questo putsch (di cui nessuno parla) è in pieno svolgimento (dal 2016), e punta a porre fine all’esistenza della Repubblica di Cipro, con il pretesto di trovare una “soluzione” al problema di Cipro. Si tratta semplicemente del “Piano Annan” (ONU 2004) riscaldato, e qui si deve ricordare che la sovrarappresentazione politica della popolazione turco-cipriota in relazione al suo peso demografico (18% prima dell’invasione dell’esercito turco nel 1974 e dell’occupazione della parte settentrionale dell’isola) prevista da questo piano fu uno dei motivi del suo rifiuto da parte dei ciprioti greci nel referendum del 2004.

Se implementato, questo piano creerà un’entità stranissima, un altro parto mostruoso, che non trova riscontro in nessun altro Stato al mondo (eccetto forse la Bosnia o Timor Est). Il piano prevede la creazione (in un’isola relativamente piccola) di varie camere, Parlamenti e Senati, con un continuo sistema di veti, che garantirà posti di lavoro a migliaia di avvocati e l’impossibilità del nuovo “Stato” di funzionare.

Il nuovo Stato inoltre non avrà un suo esercito, ma una sorta di polizia internazionale per disciplinare gli abitanti. Questo progetto costituisce una grave violazione di tutte le più importanti disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite, del diritto europeo, internazionale e costituzionale. Questo mostro giuridico trae la sua legittimità sostanzialmente dalla sua stessa logica, una logica che pretende di risolvere il conflitto tra la maggioranza e la minoranza a Cipro per trasformare uno Stato indipendente, sovrano e democratico, in una sorta di protettorato postmoderno.

Gli esecutori, Alexis Tsipras e in particolare Nikos Anastasiádis (Presidente di Cipro), dal gennaio 2017 sono stati “fortemente invitati” a firmare questo accordo. Dato che a Cipro ci sono già molte reazioni contro questa “Confederazione”, il colpo di stato consiste nel dotare questo primo accordo (che non è stato ancora concluso) di valore legale (che il presidente Anastasiádis peraltro non può dargli, visto che si tratta dello scioglimento dello Stato che presiede), evitando e bypassando lo svolgimento a Cipro del necessario referendum.

Camion perquisito alla ricerca di migranti. Patrasso, 2017 (fonte: stampa greca)

Solo che Cipro e Grecia sono due paesi ormai esausti a causa della Troika, dove la gente è stanca, la psicologia sufficientemente “lavorata” dall’ingegneria sociale, e il tutto ha subìto un’accelerazione da quando è stata installata l’austerità come regime politico. Il libro di Konstantakopoulos, e il dibattito che ne è seguito, guidano a un’evidenza, che ormai i greci riconoscono, benché non riescano ad opporvisi: sotto questi programmi della Troika si nasconde un’implacabile agenda geopolitica. È esattamente questo aspetto della realtà che Dimitris Beland ha anche illustrato, pur affermando il suo punto di vista politico: “Syriza non è la sinistra”. È vero ma ormai dirlo è perfino superfluo, per non dire insignificante, come mettersi a demistificare l’esatta posizione politica di Syriza di Tsipras, o della Nuova Democrazia di Mitsotakis, non siamo più a questo… per non dire che non siamo proprio più.

Ciò che la sinistra (e prima la stessa società greca) non capiva (o non voleva capire) era che non si tratta solo di un’austerità finanziaria e neoliberista (o ordoliberale), benché questa sia ancora in azione, e questo fin dall’inizio del processo. Bisogna notare che la cosiddetta austerità imposta alla Grecia è risultata in un crollo del 27% del PIL in sette anni (il che supera la quota del PIL francese perso durante la Prima guerra mondiale, per esempio), e che lo stesso salasso non è stato imposto ad altri paesi troikanizzati, per esempio il Portogallo.

In effetti, questo completo abbattimento della Grecia (abitanti, ricchezza, istituzioni, cultura, demografia, capacità di reazione e rinnovamento/sostituzione democratica della sua classe politica), non è più una semplice “correzione neoliberista”, perché questo processo – dopo otto anni di totalitarismo troikano – ora è arrivato a togliere ai greci il nocciolo duro e centrale della loro sovranità, nello stesso momento in cui li priva della loro proprietà pubblica e privata, e alla fine del loro sistema democratico. Ormai capiamo quanto l’indipendenza, greca (dal 1830) e cipriota (dal 1960), che d’altra parte non è mai stata pienamente accettata dalle potenze “di gestione” marittime e occidentali (Gran Bretagna e Stati Uniti), ebbene, ormai è destinata a essere completamente cancellata.

Questa è l’agenda reale e geopolitica dell’austerità, e non riguarda solo la lotta di classe, ahimè. Ciò è tanto più vero quanto l’attuale geopolitica delle élite della globalizzazione finanziaria diventa essenzialmente quella del caos, e non quella della stabilità, anche in Europa.

Gli ultimi accordi tra il burattino Tsipras e gli Stati Uniti sul rafforzamento accelerato del ruolo delle basi militari statunitensi a Creta (e presto nel nord della Grecia), comprese le loro armi potenzialmente nucleari (per non parlare degli accordi segreti che persino i deputati cosmetici del “Parlamento” greco ignorano quanto noi), non lasciano presagire nulla di tranquillizzante per un futuro molto probabilmente imminente.

Quindi eccoci alla fine di un processo e all’inizio di un altro, tutto in un contesto di guerra asimmetrica, di guerra strisciante, persino di guerra futura, che coinvolge le potenze marittime occidentali, l’Iran, persino, Russia e Cina. Ora capiamo meglio.

La preparazione Tsipras (e di Tsipras) è precisamente quella che porta la Grecia nella fase II del processo di annientamento, dopo la fase I che va dal 2010 (con il burattino iniziale Papandreou) al 2015. L’arrivo di Syriza al potere sarà ricordato per la presunta fine del Memorandum, attraverso l’idea globale “della dignità ritrovata, della speranza che ritorna e del trionfo della democrazia”. Poveri cittadini.

Lo shock è stato come previsto enorme, e il lutto non finisce mai. Dopo il crimine del secolo, commesso in questo modo dagli imbroglioni Syrizisti (o comunque questa è sicuramente la visione che ne ha la maggioranza dei greci), i cittadini così miseramente ingannati hanno preso a diffidare di tutto il “loro” personale politico e dei media. Il clima diventa più deleterio che mai, i servizi segreti (e meno segreti) delle potenze straniere controllano i media, come i baroni del nepotismo della politica locale, campo in cui Syriza e il suo alleato di “Greci Indipendenti” sono diventati i nuovi campioni. Nel frattempo, il burattino Mitsotakis aspetta il suo momento, nel minuto preciso in cui Washington, Berlino e Bruxelles giudicheranno che il pupazzo Tsipras non sarà più utilizzabile. Di recente (due settimane fa), è scoppiato uno scandalo politico-finanziario, dopo che è emerso che alcune attrezzature militari (munizioni) stavano per essere vendute dalla Grecia all’Arabia Saudita. In seguito, un certo Papadopoulos (sconosciuto al grande pubblico), e vicino al ministro della Difesa Kammenos (leader del partito “Greci Indipendenti”, alleato di Syriza), è stato presentato come il presunto intermediario in questo affare (e sempre ben pagato per i suoi servizi). Secondo quanto hanno raccontato sul caso i media, Papadopoulos avrebbe svolto male il suo ruolo, e la vendita è stata alla fine congelata o annullata, apparentemente perché finalmente è stato tenuto conto della guerra dell’Arabia Saudita in Yemen.

Proteste e caos di fronte al sequestro della propria abitazione. Atene, novembre 2017 (fonte: stampa greca)

Immediatamente, “l’opposizione” (Nuova Democrazia), ed essenzialmente il clan Mitsotakis, ha presentato al “Parlamento” molti documenti compromettenti, e tuttavia classificati come “riservati”: sarebbero stati coinvolti i servizi segreti greci (?) e stranieri, così che il caso possa poi finire in imbroglio totale. Senonché, ci sono senza dubbio altri casi di questo tipo in corso, molto più seri e che i greci non dovrebbero conoscere prima, probabilmente, di trovarsi di fronte a un nuovo fatto compiuto.

Le nostre acque sono agitate e salmastre. È anche per questo motivo che l’associazione (Think Tank) “a/simmetrie” mi ha fatto l’onore di invitarmi come relatore al convegno che ha appena organizzato, con il patrocinio dell’Università degli Studi G. d’Annunzio, a Pescara, il 2 e 3 dicembre, sul tema: “Più Italia – Europa e globalizzazione: quale ruolo per il nostro paese?”. Voglio ringraziare anche pubblicamente “a/ simmetrie” e il suo fondatore Alberto Bagnai, professore di politica economica all’Università di Chieti-Pescara, e l’Università, sia per l’invito sia per essersi fatto carico della realizzazione materiale del mio viaggio, che altrimenti non sarebbe stato possibile. E parlo di viaggio e non di spostamento, perché la sua particolarità è che è stato un viaggio su strada (800 km da Atene e Pescara, tra andata e ritorno), e in traghetto, tra Patrasso e Ancona. Ho scelto volutamente di non usare l’aereo, mezzo consacrato di solito a questi viaggi. Il viaggio, tanto desiderato, è stato l’occasione per annotare alcuni fatti, e per sentire quanto, partendo dalla Grecia, un viaggio in Italia (e ben oltre) rimane un viaggio tanto in termini geopolitici quanto nella crisi. L’Italia e la Grecia non sono nello stesso ciclo per quanto riguarda le rispettive situazioni, questo è evidente.

Questi viaggi lasciano anche un po’ la porta socchiusa, che consente di vedere alcune delle sofferenze della nostra modernità (quello che gli aerei e gli aeroporti, sempre asettici, non permettono più): quando ad esempio osserviamo dal vivo alla partenza dal porto di Patrasso i disperati tentativi da parte dei migranti di nascondersi tra gli assali e le merci trasportate dai camion. I camionisti inquieti che tengono d’occhio i loro mezzi, i poliziotti e le guardie… fanno il loro lavoro, anche i passatori comunque dovrebbero essere lì, da qualche parte. Viaggiare su strada è anche un modo per vedere, alla fine, quanto siano ancora trafficate le autostrade italiane: mentre quelle della Grecia dal 2010 si sono svuotate. E poi, in Italia ci sono i preparativi per il Natale, gli spot pubblicitari e un’atmosfera che fa pensare alla Grecia degli anni prima della crisi. Alcune pubblicità italiane sono da tempo diventate… diciamo insostenibili, per la Grecia.

Durante il convegno, sono stato intervistato dal professor Alberto Bagnai di fronte a un pubblico informato e molto interessato alle vicende greche, sulla situazione del paese.

Ho insistito su alcuni fatti d’altra parte evidenti, sul passaggio nel “caso greco” dalla fase I alla fase II. Ho insistito in particolare su questo calendario dell’austerità, molto preciso, che purtroppo nasconde molto bene la sua agenda geopolitica, e sulla neutralizzazione (e canalizzazione) della reazione popolare, sull’uccisione della democrazia, tra le altre cose, per esempio, a causa del modo in cui il “Parlamento” ha approvato il testo del Memorandum Tsipras (agosto 2015), lungo 7.500 pagine, imposto dalla Troika. Un testo scritto, è bene specificarlo, in inglese e tradotto solo parzialmente in greco… col traduttore automatico. Eppure quello che i deputati non hanno letto è un testo che interessa praticamente tutti i settori di attività, la democrazia, i diritti, così come la vita dei Greci. “In ogni caso, non abbiamo avuto praticamente il tempo materiale di leggerlo”, hanno riferito alcuni ministri di Syriza alla stampa nel 2015.

Le asimmetrie economiche, prima o poi, lasciano scoprire che sotto ci sono asimmetrie geopolitiche, e per andare a fondo nel ragionamento, ho dimostrato che, in ultima analisi, il popolo greco sta subendo una forma di guerra, un’aggressione asimmetrica. È questa, a dirla tutta, la paura degli amici italiani (o almeno, di quelli i cui occhi e le cui orecchie sono già aperti), che il loro paese possa alla fine “accettare” la sua futura sottomissione alla Troika, dopo la razione di austerità che il paese di Garibaldi ha già dovuto sopportare. Certo, la situazione geopolitica in Italia non è paragonabile a quella della Grecia o di Cipro: però il ragionamento (irrazionale) di base (austerità, metademocrazia, sottomissione) sembra immutabile, a prescindere dei paesi interessati.

Alla fine del processo, di cui l’euro è d’altra parte il capolavoro, c’è la morte della democrazia, la morte dell’economia gestita, in un dato territorio, dai cittadini, la fine di ogni controllo del tempo (del futuro) e quindi la sconfitta di ogni speranza, a meno di non spezzare tutto il guscio (tra l’altro, europeista). È per questo motivo che io non credo in “un’altra Europa possibile”, e ancor meno nel “Piano-B” a questo riguardo. È triste dirlo forse, o farlo ammettere, ma è così.

D’altra parte, questo viaggio per me è stato anche un’opportunità di uscire dal quadro psico-mortale della Grecia di oggi e non è certo poco visitare, come si dice, un po’ di mondo… prima forse che diventi del tutto impossibile.

Gli ultimi giorni belli (dal punto di vista meteorologico) di novembre e l’ouzo sulle spiagge di Atene sono lontani. Tornati a casa, abbiamo trovato il nostro appartamento disperatamente freddo, perché senza riscaldamento centrale dal 2012, e i nostri animali che i vicini hanno gentilmente tenuto durante la… spedizione e l’osservazione partecipante in Italia.

Pioggia e poi vento. Ai vecchi tempi pensavamo addirittura di preparare il Natale, ma ogni illusione può così conoscere la sua fine. Di ritorno in Grecia, sentiamo di essere ancora una volta impelagati in una melassa che ostacola la riflessione, che avvelena anche la più piccola felicità quotidiana, e che allo stesso tempo oscura ogni visione delle persone e dei paesaggi, come coprendoli di un velo di lutto.

Tuttavia, sono stato in grado di raccontare alla nostra grande Mimì e in particolare al nostro piccolo Hermes, detto il Trismegisto (e già… vecchio dei suoi quattro mesi), che anche in Italia ci sono animali a volte adespoti (senza padrone). Missione compiuta, dunque nonostante la geopolitica. Rientro a casa, con tutte le difficoltà ancora da trascorrere per l’inverno! Povero blog… nel giusto splendore della sua sopravvivenza.

Panagiotis Grigoriou
Greek Crisis, 6 dicembre 2017

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