L’idea franco-tedesca per ingabbiare l’Italia

Sergio Cesaratto 26 January 2018

Un tema sembra ossessionare i vertici europei: come costringere l’Italia a ridurre il suo debito pubblico, costi quel che costi (all’Italia). Prima abbiamo avuto i non paper di Wolfgang Schäuble, ora il paper dei 14 economisti franco-tedeschi radunati da Merkel e Macron. Leggerlo è un viaggio nel surreale. Si parte invero col piede giusto giudicando le attuali regole di bilancio europee macchinose, arbitrarie e pro-cicliche. Purtroppo le proposte avanzate sono ancor di più cervellotiche, parziali e destabilizzanti, volte esclusivamente a mettere l’Italia sotto scacco. Se applicate probabilmente destabilizzeranno i mercati. Di crescita e occupazione il documento non fa menzione. Keynes non è mai esistito.

Il paper mira a rafforzare la disciplina fiscale in cambio di una qualche “condivisione dei rischi”. Ma per non sbagliare, i Paesi ad alto debito dovranno avere più disciplina e meno risk sharing degli altri, mai che se ne approfittino. Il documento copre tre temi: unione bancaria, regole di bilancio, quadro istituzionale. Quest’ultimo, in sostanza, consiste nel distribuire efficacemente fra Commissione ed Eurogruppo (il consiglio dei ministri finanziari) i ruoli di accusatore e di giudice nelle procedure di violazione, ruoli al momento troppo soggetti alle scelte politiche. La Francia ha purtroppo da tempo abbandonato l’idea di fare dell’Eurogruppo un luogo di coordinamento delle politiche fiscali per la crescita.

Sulle banche la vicenda è nota: la costituzione di un’assicurazione europea sui depositi a completamento dell’unione bancaria, che già prevede sorveglianza e procedure di risoluzione delle crisi bancarie comuni (il famoso bail-in), è subordinata allo smaltimento da parte delle banche (leggi italiane) dei titoli pubblici e delle sofferenze bancarie (pena sanzioni). Qui il paper dimentica che nel 2011-12 le banche italiane furono spinte a impiegare la liquidità della Bce per accollarsi i titoli di Stato italiani di cui le banche franco-tedesche si stavano sbarazzando, evitando il crollo dell’euro. Se la Bce fosse intervenuta prima questo non sarebbe accaduto. Così come si dimentica sia che le sofferenze sono in gran parte dovute alle politiche di austerità, che dell’ammontare spaventoso di titoli speculativi che gravano sulle banche tedeschi e francesi, come documentato a dicembre dalla Banca d’Italia. Si tratta comunque di misure destabilizzanti per il debito pubblico e le banche italiane.

E circa la promessa garanzia sui (vostri) depositi, l’assicurazione europea interverrà solo se una crisi bancaria in uno o più Paesi esaurisce la quota del fondo assicurativo comune che è di loro pertinenza (e che essi avranno versato attraverso “premi assicurativi” commisurati al rischio-Paese), dunque una condivisione dei rischi limitata a crisi sistemiche. È nella parte fiscale che il surrealismo dà il meglio di sé. Qui si propone di sostituire al pareggio di bilancio (aggiustato per il ciclo economico con regole assai arbitrarie) un obiettivo di crescita della spesa pubblica in linea con la crescita del Pil, ma minore di quest’ultima nei Paesi ad alto debito di modo che lentamente rientrino nel rapporto debito/Pil. La carota sarebbe che il trend fissato per la spesa è predeterminato, sicché non vi sarebbero (ulteriori) tagli nelle fasi basse del ciclo. Dio solo sa quanta arbitrarietà v’è tuttavia nel calcolare la crescita di lungo periodo del Pil. Inoltre, l’analisi keynesiana suggerisce che la spesa pubblica contribuisce a guidare il Pil.

Se la facciamo crescere meno, crescerà meno anche il Pil (e con essa le entrate fiscali, mortificando l’aggiustamento dei conti). Siamo alle solite fatiche di Sisifo. E se ci trovassimo a violare la (nuova) regola, dovremmo finanziare la spesa emettendo dei titoli di serie B (junior bond) sui quali dovremo pagare tassi più elevati. La logica punitiva offre il massimo di sé nel principio schaubliano per cui ogni assistenza finanziaria da parte del fondo salva-Stati Esm (European Stability Mechanism), assistenza che può rendersi indispensabile nel caso che per uno Stato fosse proibitivo rifinanziarsi sul mercato a tassi accettabili, andrebbe subordinata a una ristrutturazione del debito (che ne allunghi le scadenze e se necessario ne cancelli una quota, per esempio relativa alle junior bond di cui sopra).

Ciò vuol dire che sotto la minaccia di una ristrutturazione dei debiti saranno i mercati a vigilare sul rigore fiscale dei Paesi ad alto debito imponendo tassi più elevati, senza più bisogno di applicare sanzioni, operazione politicamente complicata. Nella prospettiva della dismissione dell’ombrello protettivo della Bce, questa riforma lascerà indifeso il mercato dei titoli italiani. Ça va sans dire che, invece, i Paesi che avranno dato prova di virtù fiscale sono premiati e avranno accesso incondizionato all’Esm per affrontare, presumibilmente, temporanei rialzi dei tassi di interesse sui loro titoli di Stato accedendo ai più vantaggiosi tassi sui prestiti erogati dal fondo. L’Europa c’è quando v’è meno bisogno.

La carta sarebbe nella creazione di un (piccolo) fondo a cui potrebbero ricorrere i Paesi la cui disoccupazione superasse certe soglie. Il sostegno è tuttavia una tantum, quindi non volto a contrastare la disoccupazione strutturale, e disponibile solo ai Paesi che si attengono scrupolosamente alle regole. Alla faccia del risk sharing, la contribuzione al fondo sarà maggiore per gli Stati che più probabilmente vi ricorreranno. Da dove un esponente di Liberi e Uguali (Nicola Fratoianni su «Huffington Post») abbia potuto dedurre che il documento propone il superamento dei vincoli europei non è dato sapere, a ulteriore testimonianza che il surrealismo domina il dibattito in Europa.

Sergio Cesaratto
Il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2018

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