Le conseguenze dell’euro: il caso della Spagna

Antoni Soy 14 July 2014

Antoni Soy
Università di Barcellona

1 – Sono un’entusiasta osservatore del dibattito italiano sull’euro e voglio dirvi che in Spagna c’è molto meno dibattito al riguardo: a livello politico, a livello accademico e persino sui social media. La posizione ufficiale in Spagna è che la Troika sta facendo quello di cui abbiamo bisogno e il Governo – dal centro-destra al centro-sinistra – semplicemente, approva. In teoria la posizione “critica” è che il problema non è l’euro ma le politiche di austerità. Per le persone che sostengono questa posizione, se il Governo facesse politiche espansive l’euro non sarebbe un problema. Poi, le persone come me, i critici dell’euro in Spagna, sono da soli e vengono isolati.

2 – Tuttavia, è interessante dare qualche dato quantitativo e conoscere qualche realtà qualitativa per capire meglio la reale situazione della Spagna. Dopo gli ultimi dati di Eurobarometro (UE, 2013), emerge che nell’Autunno del 2013 solo il 48% degli spagnoli era ottimista sul futuro dell’Unione Europea (nel 2007 erano il 74%). Per quanto riguarda l’euro, nel 2013 il 56% della popolazione spagnola era a favore della moneta unica mentre il 37% era contrario, con quest’ultima percentuale che cresce rapidamente.

3 – Dall’attuazione dell’euro, la Spagna (e gli altri paesi della periferia) sta vivendo una crescente instabilità – dal punto di vista economico, sociale e politico. Paul De Grauwe, della London School of Economics, ha calcolato che la Spagna avrà bisogno dai 12 ai 25 anni per dimezzare il suo livello di debito (De Grauwe, Ji, 2013).

Più recentemente (Artus, 2014), Patrick Artus di Natixis (una banca d’investimento), ha concluso che:

  • Per tornare ai livelli occupazionali pre-crisi la Spagna avrebbe bisogno di 25 anni (oggi il tasso di disoccupazione è superiore al 26% con la disoccupazione giovanile che va oltre il 55%);
  • Per ridurre l’incidenza del debito pubblico e privato (in percentuale al PIL) fino a livelli sostenibili ci vorranno 5 anni di deleveraging pubblico e 14 di deleveraging privato;
  •  Per un ritorno delle famiglie alla solvibilità sarà necessario un livello sostenibile di debito e un normale livello di disoccupazione, e un ritorno della solvibilità delle aziende richiederà il recupero di una normale redditività;
  • La ricostruzione della capacità produttiva distrutta durante la crisi richiederà molti anni a causa delle grandi perdite nella capacità produttiva del settore industriale.

In conclusione, e come ha detto Martin Wolf, l’influente capo redattore economista del Financial Times, in una recente visita in Spagna, la crisi continuerà ad essere una caratteristica distintiva del mio paese almeno fino al 2025.

4 – Allo stesso tempo, da un punto di vista sociale, in Spagna le disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza sono aumentate drammaticamente causando:

  • In primo luogo, una crisi molto profonda nella classe media;
  • In secondo luogo, un divario sociale crescente tra le classi alte e medio-alte da un lato, e le classi medio-basse e basse dall’altro, il che significa che queste ultime vivono sempre di più in povertà.

Fino ad ora, non vi è stata alcuna grande esplosione sociale ma le proteste e le manifestazioni contro le politiche di austerità sono in crescita, sia a livello di gruppi organizzati che a livello generale, e la crescita di movimenti sociali contro gli sfratti, contro alcune attività finanziarie fraudolente degli anni della crescita economica, e contro i tagli di spesa nella servizi pubblici come l’educazione, la sanità, ecc..

5 – In realtà, le politica di austerità attuate in Spagna non hanno permesso di raggiungere quelle che apparentemente era l’obiettivo principale: migliorare l’equilibrio di bilancio del settore pubblico. Al contrario, il deficit pubblico praticamente non è diminuito mentre è ancora in aumento il rapporto del debito pubblico relativo al PIL continua a crescere (con la diminuzione del PIL) e attualmente è già al 100% (quando nel 2007 era a circa il 40%). (Al contrario, le politiche di austerità hanno migliorato notevolmente il deficit esterno).

6 – In Spagna, come negli altri paesi periferici, le politiche di austerità hanno condotto a un circolo vizioso di recessione, deficit e debito pubblico. Come ha più volte detto Alberto Bagnai, l’euro significa svalutazione interna, dato che i paesi della Zona Euro non possono svalutare la moneta, e quindi implica l’austerità.

Se si sostituiscono le politiche di austerità con politiche espansive, come alcuni propongono, non si risolvono i problemi dei paesi periferici perché l’esistenza dell’euro significa tassi di cambio fissi, che comportano problemi crescenti nel saldo con l’estero.

La Spagna, come la maggior parte dei paesi periferici, ha bisogno di riforme, ma le riforme reali, al di là delle riforme del mercato del lavoro, hanno bisogno di essere finanziate. Per finanziare le riforme è necessario che il settore privato faccia profitti e che il settore pubblico aumenti i propri ricavi, ma questo è impossibile durante la recessione. Pertanto, nella fase di recessione attuale le riforme non possono essere adeguatamente finanziate. Quindi è necessario crescere per attuare le riforme, e per i paesi della periferia il bisogno di crescere significa uscire dall’euro perché l’euro significa austerità. Così, per essere in grado di fare le riforme reali sarà necessario uscire dall’euro, più svalutazione nel breve termine al fine di essere in grado di crescere e di finanziare le riforme necessarie nel medio e lungo termine.

7 – Il processo di globalizzazione ha comportato una crescente finanziarizzazione economica come ultima fase (quella attuale) della mondializzazione (il “Money Manager Capitalism” di Minsky). Ciò significa la preminenza della deregolamentazione dei mercati finanziari internazionali e “l’indipendenza” delle banche centrali e il finanziamento del deficit pubblico e del debito attraverso le obbligazioni; il che significa la dipendenza dello Stato nei confronti dei mercati finanziari internazionali.

Come Lordon (2014) ha sottolineato, in Europa questo è reso possibile attraverso l’articolo 63 del Trattato di Lisbona che dice: “tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra paesi membri e tra stati membri e paesi terzi sono vietate”. Quindi, questo articolo significa che tutti i movimenti di capitale, intra-europei ed extra-europei, sono assolutamente liberi.

La conseguenza è che le politiche economiche nazionali saranno limitate e controllate dalla capacità di normalizzazione e controllo dei mercati finanziari internazionali. Vale a dire, i paesi dell’Unione Europea non hanno più alcuna possibilità di attuare politiche economiche discrezionali e sovrane. È la fine della sovranità degli stati. La fine della possibilità di fare politiche economiche nazionali.

Bibliografia

Artus, Patrick, 2014: “Southern euro-zone countries: Even if there is no accident and no new crisis, a return to normal will take a very long time”, Flash Economics. Economic Research, Nº 246, 3 April, Natixis.

De Grauwe, Paul and Ji, Yuemei, 2013: “The Legacy of Austerity in the Eurozone”, CEPS Commentary, 4 October.

European Commission, 2013: “Public Opinion in the European Union”, Standard Eurobarometer, 80, Autumn.

Lordon, Frédéric, 2014: La Malfaçon. Monnaie européenne et souveraineté démocratique, Paris, LLL Les Liens qui Libèrent.

(testo dell’intervento al congresso internazionale: “Un’Europa senza euro: costi e benefici per imprese e famiglie. Analisi e proposte di economisti e politici europei”, Roma 12 aprile 2014).

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