Come sanno bene i romani, un tal Maurizio, volendo disfarsi di una Duna, la teneva parcheggiata col classico “Vendesi – telefonare ore pasti”. Un ignoto quanto geniale passante chiosò col pennarello: “A Mauri’, magna tranquillo!”. Tradotto: “Gentile Maurizio, è improbabile che qualcuno la disturbi per proporle di acquistare un simile cavallo d’acciaio”. Ieri ero in tutt’altre faccende affaccendato quando Stefano Feltri mi ha telefonato (ore pasti) per chiedermi un commento sullo spot “antieuro” proposto dal M5S. Lo trovate nel sito del Fatto. Il giovane protagonista sogna un oleografico ritorno alla lira, ma il sogno diventa incubo: interviene la senatrice Taverna, che lo rassicura con un “Ce penzo io!” (con la “z” di Zorro).
Il lettore forse saprà che sull’euro io e Stefano la pensiamo in modo opposto. Gli sono tanto più grato per l’ospitalità che mi accorda, e sono lieto di poterlo rassicurare: “A Ste’, magna tranquillo!”
Traduco, a beneficio di chi nel desiderio di informarsi ha investito €1.4 (ovvero, per la senatrice, 2710,778 lire). Per valutare lo spot dobbiamo chiederci quanto sia eticamente ammissibile e strategicamente efficace porsi al livello dei propri avversari. La propaganda eurista vive di argomenti populisti, onirici, e di pancia. Siamo partiti dal famoso “lavoreremo un giorno in meno guadagnando come se lavorassimo un giorno in più” attribuito a Prodi, poi, all’arrivo del conto, siamo passati allo strepitoso “ai miei figli voglio lasciare un sogno” (dettomi in televisione da un malcapitato on. Boccia), e ora, nella débâcle, siamo al terrorismo spicciolo di quelli che uscire dall’euro “significherebbe veramente finire in Africa!” (lo sconcertante Franco Bruni su La Voce della Russia). Il livello del dibattito è questo: molto povero di argomenti, ma molto scaltro come tecnica manipolatoria. Opporre dati di fatto a queste becere scemenze è una fatica di Sisifo. Se ti dicono “dove andremmo noi piccoletti perché fuori c’è la Cina”, puoi argomentare che l’Italia non è un pigmeo (siamo 23° per popolazione su 186 stati considerati dalle statistiche Fmi); che la Corea del Sud, con dimensioni simili alle nostre, pur schiacciata fra Cina e Giappone si guarda bene dall’adottarne la valuta, e l’anno scorso ci ha superato per reddito pro capite; che i paesi più piccoli del nostro sono in media più ricchi, ecc. Dati inoppugnabili. Ma trovare un uomo (o una donna) che non abbia la sindrome delle dimensioni è difficile: il cialtrone che parla alla pancia avrà sempre la via spianata.
Può quindi essere condivisibile (à la guerre comme à la guerre!) la scelta del M5S di porsi sul piano emozionale scelto dall’avversario. Ci sono però due svantaggi immediati. Il primo è l’ovvia critica di essere nostalgici. “Indietro non si torna” è un argomento che fa sempre presa: lo usava Mussolini, e oggi lo usano gli euristi, che poi sono gli stessi che invece vedono nel divorzio una grande conquista civile (come in effetti è, considerando l’alternativa: l’uxoricidio). Il secondo svantaggio sta nel rappresentare in modo distorto il superamento dell’euro. Nessuno studioso ha mai considerato plausibile un ritorno alla vecchia lira al cambio di 1936.27 lire per euro. Si uscirebbe con un cambio interno uno a uno (una nuova lira per euro), cioè verso una nuova lira “pesante”, lasciando poi adeguare il cambio esterno (1.2 nuove lire per nuovo marco, nelle stime di molti). Il raccontino del M5S quindi nel parlare alla pancia suscita sì nostalgia, ma anche panico immotivato: “Aiuto! Ci fregheranno un’altra volta con la conversione! Faremo la spesa con la carriola!”
Un discorso razionale e comunicativamente efficace si può fare. Lo dimostra il fatto che mi state leggendo: se fornire dati condannasse all’inefficacia, non sapreste che esisto. Si può anche fare un discorso di pancia senza veicolare idee scorrette. Basta volerlo. Se il M5S lo avesse voluto sul serio, credo che oggi avreste speso 1.4 nuove lire e, come dicono a Roma, “staressimo” tutti meglio.
Alberto Bagnai
Il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2015