Un’ammissione di debolezza che non risolve i problemi

Alberto Bagnai 23 Gennaio 2015

Pare che Draghi stia per usare il suo “big bazooka”. Ciò non cambia il parere che sulla “svolta” di Draghi espressi nel mio blog Goofynomics il 30 luglio 2012, tre giorni dopo l’ormai famoso “whatever it takes”. Questa svolta era ed è inutile, perché non tiene conto della natura dei problemi dell’Eurozona, ed è quindi dannosa, perché ne prolunga l’agonia, rendendo più salato il costo dell’inevitabile dissoluzione. Intanto, il fatto stesso che Draghi debba passare dalle parole ai fatti indica che sta perdendo credibilità. L’annuncio di metà 2012 era stato fatto proprio per non essere tradotto in pratica. Allora Draghi aveva vinto la scommessa: la sua parola era bastata a placare i mercati. L’entrata in deflazione ha però fatto capire a tutti che le strategie dilatorie sono dannose, e che gli annunci non fanno ripartire la crescita del reddito (cosa di cui Renzi ci ha dato ampia prova). Da qui l’esigenza di fare di più, realizzata tardi e male. Intanto, la decisione di commisurare l’entità degli interventi alle quote dei singoli paesi nel capitale della Bce indirizzerà i fondi verso chi in teoria ne ha minor bisogno (Germania e Francia), esaltando gli squilibri dell’Eurozona; poi, l’ingiunzione tedesca di far sopportare il rischio per l’80% alle banche centrali nazionali sancisce la balcanizzazione finanziaria dell’Eurozona, ed equivale a una pericolosa ammissione: game over; infine, si continua a non capire che in una depressione epocale come quella che stiamo sperimentando emettere moneta non garantisce minimamente che qualcuno la spenderà. Le banche, legittimamente, continueranno a non prestare a disoccupati o imprenditori in cattive acque (non per loro colpa). L’impatto su prezzi e redditi sarà pressoché nullo. Solo la monetizzazione dei deficit pubblici, effettuata a livello nazionale per sostenere investimenti pubblici e redditi nei paesi in crisi, potrebbe essere risolutiva. Per realizzarla occorrerà rimediare a un grosso errore: l’euro. Prima è, meglio è.

Alberto Bagnai
Il Fatto Quotidiano, 23 gennaio 2015

Condividi

Correlati