Stiamo vivendo una devastante crisi di debito pubblico: questo è quanto ci ripetono i quotidiani, echeggiando le analisi di alcuni economisti. La parola debito viene riproposta in modo assoluto ed ossessivo (il debito, il debito, il debito…), e acquista così vita autonoma, assurge a simbolo del fallimento di un sistema di governo, della disfatta di intere generazioni, diventa un totem al quale tributare sacrifici, si carica di mille significati (politici, etici, psicanalitici). Si perde così di vista un punto essenziale, confermato dall’esperienza personale di molti di noi: non ci può essere debito se non c’è stato un creditore, non si possono prendere in prestito soldi se nessuno te li dà in prestito.
Una banalità? Forse, ma esploriamone le conseguenze. Intanto, ammettendo che il problema sia effettivamente il debito pubblico (ma su questo le voci sono discordanti), una cosa è certa: dato che nessuno presta a se stesso, i creditori del settore pubblico apparterranno al settore privato. Questo, in buona sostanza, significa che quella che viene descritta come una crisi di debito pubblico, da risolvere punendo e circoscrivendo lo Stato “che si è indebitato troppo”, è almeno in parte anche una crisi di credito privato, che forse si sarebbe potuto prevenire regolamentando e sorvegliando il Mercato “che ha prestato troppo” (cioè incautamente).
Descrivere la relazione fra due contraenti insistendo su un solo lato, e quindi, ad esempio, parlare solo di debito, è un esempio di rappresentazione asimmetrica di un fatto economico, insomma, un esempio di asimmetria. L’asimmetria nella rappresentazione, nell’analisi, conduce ad un’asimmetria nella proposta politica, che non sempre si traduce in un beneficio netto per la collettività. Ad esempio, le politiche di austerità, oggi generalmente criticate come causa della persistente recessione, sono state adottate pochi mesi or sono sulla base di un’analisi “asimmetrica”, che poneva tutte le responsabilità della crisi in capo allo Stato, e vedeva in termini comunque positivi qualsiasi politica restringesse il “perimetro” di quest’ultimo. Un’analisi che oggi trova molti meno sostenitori di un anno fa.
Ricordare quindi che ogni debito è anche un credito, per restare al nostro esempio, non è una semplice banalità: è anche il rimuovere un’asimmetria concettuale, analitica. Questa rimozione, a sua volta, non è un mero esercizio intellettuale: è un contributo all’apertura del dibattito politico verso spazi più articolati ed efficaci di soluzioni dei problemi.
Riflessioni di questo genere sono ancora poco frequenti da noi, ma sono comuni nella stampa e nella letteratura scientifica internazionale, dove addirittura esistono riviste specializzate sul tema delle asimmetrie. Un tema ampio, trasversale, che ogni economista incrocia almeno una volta nel proprio percorso di studi, affrontando il tema delle asimmetrie informative, cioè dei fallimenti del mercato che scaturiscono da una imperfetta informazione di almeno un contraente. Sembra una cosa molto esoterica, ma è una cosa vecchia quanto il mondo (il marito e l’amante hanno informazione asimmetrica). Rientra fra le asimmetrie informative il moral hazard, cioè il rischio di comportamento sleale della controparte – fenomeno portato all’attenzione del grande pubblico da Money never sleeps di Oliver Stone – che molti considerano fra le cause principali della crisi che stiamo vivendo: il settore finanziario privato avrebbe prestato senza esercitare la dovuta diligenza perché intuiva che il settore pubblico sarebbe intervenuto in suo soccorso.
Ma le asimmetrie sulle quali riflettere, sulle quali fare ricerca, divulgazione, e proposta politica, nel senso di proposta alla polis, non si esauriscono certo qui, e hanno tutte riflessi più o meno immediati, ma sempre penetranti, nella vita quotidiana di ognuno di noi.
C’è l’asimmetria del sistema monetario internazionale, basato sulla moneta di uno stato (il dollaro) che diventa moneta del mondo, inducendo un fondamentale squilibrio nei conti esteri degli Stati Uniti e concorrendo al ciclico riproporsi di crisi internazionali, secondo uno schema chiarito già da Triffin nel 1960, ma al quale decenni di riflessioni (riaperte dalla crisi del 2008) ancora non hanno trovato alternative.
C’è l’asimmetria di certe regole di politica economica, che impongono con pervicacia tolemaica parametri fissi a sistemi economici dinamici e in piena evoluzione, creando inevitabili, dunque non imprevedibili, tensioni, che si scaricano anch’esse in maniera piuttosto asimmetrica sulle popolazioni coinvolte, portando ad aumenti della disuguaglianza, della povertà, e di quella variabile non misurabile, ma assolutamente percepibile, che è la disperazione.
E poi non ci siamo solo noi: c’è l’asimmetria fra il Nord e il Sud del mondo, quel Sud del mondo del quale fanno parte (ancora per poco) le economie emergenti, anch’esse oggetto di rappresentazione asimmetrica, o forse addirittura schizofrenica: additate come salvatrici quando si può attribuire loro il ruolo di motori della crescita mondiale (che forse non sono ancora in grado di sostenere), additate come colpevoli quando occorre suggerire che il peggioramento relativo delle nostre condizioni sia una conseguenza del miglioramento delle loro (un ragionamento che convincerebbe molto di più se non avessimo tanta evidenza di errori – se sono stati tali – nella gestione delle nostre economie).
E c’è il Sud che non sta emergendo, il Sud che rimane indietro, e dal quale tanti nostri simili cercano di evadere, in cerca di prosperità nei nostri paesi.
Il che ci porta a considerare quella che forse è l’asimmetria fondamentale, quella fra capitale e lavoro. Nei modelli teorici, due lettere, K e L, che figurano in bella simmetria fra gli argomenti della funzione di produzione, la relazione matematica che descrive l’offerta complessiva di beni di un paese. In realtà, due “fattori di produzione” dalle caratteristiche radicalmente diverse: basti pensare a quanto si fa per incoraggiare l’arrivo del primo (spesso incautamente), e per ostacolare l’arrivo del secondo (spesso disumanamente).
Sono questi i temi che vogliamo portare all’attenzione del dibattito pubblico, i temi sui quali sollecitiamo la riflessione di economisti, giuristi, politologi, e di tutti gli intellettuali disposti a confrontarsi con la realtà e ad arrischiarsi sul terreno della divulgazione e della proposta concreta. a/simmetrie si offre come forum alle loro riflessioni, come supporto alle loro iniziative, come strumento di divulgazione e verifica delle loro ricerche, senza preclusioni di orientamento ideologico e di approccio, per contribuire a un reale avanzamento della coscienza civile e democratica del nostro paese. Possa questo tentativo, che sentiamo di dover fare in un periodo tanto difficile per la vita del nostro paese, avere un valore che trascenda quello della mera testimonianza.