Disinformation e nemico interno

Benedetto Ponti 24 Marzo 2022

Il tema della disinformation non è mai stato così centrale nel dibattito pubblico come nel corso degli ultimi anni. Prima le vicende legate alle presidenziali USA e al referendum sulla Brexit (2016), poi la cd infodemia che ha corso parallela (e secondo molti, anche più rapidamente) della pandemia da Covid-19, infine i fatti di queste settimane – con il dispiegamento di un evento bellico (l’invasione del territorio ucraino da parte delle forze militari russe), in cui la propaganda è (tradizionalmente) una delle armi impiegate per combattere il nemico – sono stati letti, interpretati e regolamentati anche (soprattutto?) sulla base di questa chiave di lettura. Tuttavia, la guerra in corso rappresenta anche l’occasione per unire alcuni punti (già presenti sullo sfondo, anche con riferimento alle vicende precedenti) e provare a elaborare una lettura critica. Chi scrive non intende negare che la disinformation esista, ed operi concretamente (anche determinando effetti perniciosi). Vuole però segnalare che un certo approccio alla gestione, meglio alla regolazione e (prima ancora) alla impostazione della tematica, comporta dei rischi (ed ha già prodotto degli effetti) che sono altrettanto perniciosi, e che quindi meriterebbero di essere attentamente considerati.

1. Disinformation e conflitti armati (più o meno ibridi)

La guerra che si combatte in Ucraina, con il corredo mai tanto abbondante di disinformazione e propaganda diffuso da entrambe le parti (ammesso e non concesso che le parti, in questo gioco di inganni e manipolazioni, siano soltanto due), fornisce – in effetti – molteplici elementi utili ad impostare la riflessione. Provo a richiamarli per punti, in breve.

  • Se è vero – come è storicamente verificato, senza bisogno di troppe note a piè di pagina a sostegno – che la disinformazione (i.e. la propaganda[1]) è (anche) uno strumento di guerra, occorre prendere atto della circostanza per cui sono alcuni anni – oramai – che l’UE è in “guerra” con la Russia (sebbene, non combattuta con armi da fuoco). Per meglio dire, da alcuni anni l’UE ritiene che la Russia conduca una sistematica guerra sul piano dell’informazione, al fine di ingannare, manipolare e confondere le opinioni pubbliche europee[2]. La disinformazione è inquadrata come componente essenziale di una guerra ibrida[3] (fatta anche di cyber attacchi e hackeraggio delle reti di trasmissione), rispetto alla quale sono state predisposte specifiche ed articolate strategie di contrasto[4]. La circostanza non è affatto sorprendente, né originale: poiché storicamente la propaganda costituisce uno dei mezzi mediante i quali gli Stati si combattono tra loro (in guerre più o meno fredde), v’è pure una lunga tradizione di divisioni organizzate (dentro e fuori dalla forze armate) destinate a combattere tali battaglie, come pure di leggi e regole che vietano (o regolano in modo particolarmente severo) la possibilità di attori stranieri di agire sul piano interno mediante i mezzi di comunicazione di massa e di diffusione del pensiero.
  • La tematizzazione della propaganda/disinformazione quale strumento/arma di conflitto (ibrido e/o bellico) da cui “occorre difendersi”, delinea un campo di applicazione di questo concetto strettamente correlato al confronto tra nemici che si stanno combattendo, in un confronto che non necessariamente vede in campo (sempre) anche il dispiegamento e l’utilizzo di eserciti e di arsenale bellico, e che ciononostante resta caratterizzato in termini di lotta, di sfida, di conflitto tra nemici.
  • Tuttavia, nel tempo attuale, con il termine disinformazione si fa riferimento ad una nozione che ha acquisito rilievo anche al di fuori di questo perimetro (quello del confronto bellico o anche ibrido tra paesi in conflitto tra loro). Una nozione, cioè, destinata ad essere impiegata anche per inquadrare e regolamentare le transazioni informative che alimentano lo svolgersi del dibattito pubblico all’interno dei singoli paesi, tra i cittadini di quello stesso paese, tra le forze politiche, gli attori economici, sociali, i corpi intermedi, e così via. Mai come negli ultimi anni il riferimento alla disinformation è stato impiegato (anche solo sul piano retorico e strumentale) per inquadrare e qualificare obiettivi, strumenti e metodi dell’avversario politico, ovvero specifiche rappresentazioni o narrative variamente veicolate nel dibattito pubblico.

2. «The fight against disinformation» nel quadro delle politiche UE

La nozione di disinformation, in questi termini, si è affermata come concetto utile ad inquadrare ed accomunare fenomeni, dimensioni, livelli operativi anche molto diversificati, e tuttavia presi in considerazione con un approccio omogeneo (quello che potremmo declinare come tackling disinformation, “contrastare la disinformazione”), e quindi accomunati perché attratti entro un quadro concettuale comune, nel quale cioè questa stessa distinzione (ciò che attiene alle relazioni con l’esterno e ciò che attiene alle relazioni che si svolgono all’interno) risulta porosa, se non del tutto evanescente. Una plastica dimostrazione di questo precipitare entro un comune perimetro concettuale (e, in seguito, regolatorio) è fornita dalla impostazione delle politiche di contrasto alla disinformazione promosse e perseguite a livello dell’Unione Europea. In questo senso, è estremamente significativa la comunicazione che imposta in termini complessivi la politica di contrasto alla disinformazione a livello di Unione: l’Action plan against disinformation del 2018. Il piano reca, all’inizio, una definizione generale di disinformazione – una sorta di norma di riconoscimento del fenomeno (“Disinformation is understood as verifiably false or misleading information that is created, presented and disseminated for economic gain or to intentionally deceive the public, and may cause public harm. Public harm includes threats to democratic processes as well as to public goods such as Union citizens’ health, environment or security. Disinformation does not include inadvertent errors, satire and parody, or clearly identified partisan news and commentary. The actions contained in this Action Plan only target disinformation content that is legal under Union or national law”), che è quella che poi sarà applicabile (ed applicata) al fine di scongiurare i pregiudizi temuti[5]. Tuttavia, la fonte di queste minacce non è limitata solo agli attori esterni all’UE, ma anche a quelli “interni” (“The actors behind disinformation may be internal, within Member States, or external, including state (or government sponsored) and non-state actors.”). In altre parole, la strategia è costruita per rivolgersi indistintamente a tutti gli attori, interni od esterni che essi siano. A questi attori, indistintamente, sono indirizzate le azioni previste dalla strategia di contrasto, i quattro “pillar” indicati dall’action plan, ovvero: (I) improving the capabilities of Union institutions to detect, analyse and expose disinformation; (II) strengthening coordinated and joint responses to disinformation; (III) mobilising private sector to tackle disinformation; (IV) raising awareness and improving societal resilience. Ciò significa che quando le istituzioni dell’UE si applicano per “identificare, analizzare ed esporre” casi di disinformazione, si rivolgono non solo ad attori esteri (ad esempio: i media controllati più o meno direttamente dal governo russo), ma anche ad attori interni (organi di informazione, giornalisti, formazioni sociali, associazioni, aziende, centri di ricerca, singoli cittadini, etc.); ancora, quando “mobilita il settore privato” (leggi: coinvolge piattaforme social nell’azione di contrasto, mediante la promozione del Code of practice on disinformation, sempre del 2018[6]), l’UE promuove una serie di azioni (dirette a diluire la visibilità della disinformazione sulle piattaforme social, a dare priorità e visibilità a contenuti autentici ed autorevoli, supportare il contributo di fact-checker “indipendenti ed in buona fede” volti a tracciare la disinformazione; sospendere/disabilitare gli account le cui finalità ed intenzioni consistono nella diffusione di disinformazione) che hanno come potenziali destinatari non solo attori statali stranieri, ma anche cittadini e cittadine dell’Unione.

A riprova del fatto che la politica di contrasto della disinformazione è suscettibile di applicazione generalizzata, sta il fatto che essa si è prestata ad essere immediatamente impiegata nel contrasto della disinformazione sul coronavirus[7].

3. La disinformazione e il nemico interno

Questo modo di procedere, che utilizza il medesimo apparato concettuale, la medesima norma di riconoscimento (e le medesime strategie di contrasto) per inquadrare e regolamentare contenuti espressivi elaborati e veicolati tanto da attori stranieri (che si ritiene conducano una guerra ibrida contro l’UE) quanto da attori interni, si presta a numerose considerazioni, ed è gravido di conseguenze, soprattutto con riferimento al versante interno.

Molto, ad esempio, ci sarebbe da dire circa l’attitudine eminentemente censoria di un meccanismo di riconoscimento che si fonda su un processo alle intenzioni del narrante (essendo l’intenzione di ingannare, fuorviare, confondere il vero tratto identificativo della nozione di disinformation adottata dall’Unione, e non invece la falsità in sé del fatto narrato[8]); o – ancora – si potrebbe attirare l’attenzione sulla circostanza per cui, quando la disinformazione è oggetto di riconoscimento anche sulla base dell’addotta falsità del contenuto veicolato, tale meccanismo di riconoscimento è esposto a smentite postume (quando dovesse emergere che il contenuto non era affatto falso): sono le stesse piattaforme, che dovrebbero applicare detto meccanismo di riconoscimento, a premurarsi di evidenziare tale fallacia[9].

Tuttavia, vorrei concentrarmi su un ulteriore elemento che l’attuale conflitto (armato) ha contribuito ad evidenziare.

  • Sul un piano operativo, si verifica la seguente circostanza: un medesimo concetto (la disinformazione) ed una (conseguente) strategia di contrasto sono utilizzati per inquadrare e regolamentare tanto gli scambi informativi (sotto forma di hybrid warfare) tra Stati, quanto gli scambi informativi che intervengono all’interno dello stato, nella società, tra i cittadini. Si noti – per altro – che la stessa perimetrazione della nozione proposta dalla strategia dell’Unione chiarisce che “the actions contained in this Action Plan only target disinformation content that is legal under Union or national law”. Ciò significa che la strategia di contenimento e contrasto della disinformazione opera all’interno degli spazi effettivamente disponibili all’esercizio della libertà di espressione (in senso attivo, libertà di trasmettere informazioni e opinioni; e in senso passivo, la libertà di riceverle), spazi in cui sono veicolati contenuti (dati, informazioni, opinioni) che risultano leciti “under Union or national law”. Detto in altri termini, si procede a usare il medesimo schema concettuale e regolatorio sia per coprire transazioni informative conflittuali che intervengono con il nemico (rectius, da parte del nemico), sia per regolare le transazioni informative che si svolgono all’interno dello spazio della libertà di espressione riconosciuto e garantito a tutti. Ictu oculi, l’uso del medesimo framework interpretativo e operativo in due livelli così radicalmente differenti (asimmetrici), non può che destare forti perplessità.
  • Sul piano simbolico, gli effetti sono ancora più gravi. Cosa accade, infatti, se applichiamo alle conversazioni e agli scambi informativi che intercorrono all’interno della società, tra attori interni, i medesimi parametri con i quali procediamo a riconoscere/qualificare le armi (informative) usate dal nemico? Cosa succede, se contrastiamo i discorsi così inquadrati con il medesimo strumentario concettuale ed operativo con cui ci difendiamo dagli attacchi del nemico? A me pare evidente che si corre il serio rischio di militarizzare il discorso pubblico, trasformando ogni interlocutore tacciato (debunkato?) di diffondere “disinformation” in un nemico (dal momento che riserviamo ai contenuti che ha elaborato e diffuso il medesimo trattamento che applichiamo ai nostri nemici esterni). Insomma, l’applicazione del canone interpretativo della disinformation finisce (inevitabilmente) per ri-articolare il dibattito pubblico lungo la linea di faglia amico/nemico, e per trasformare l’interlocutore del momento nel nemico interno. Con la conseguenza di alimentare un clima che è quello proprio di una guerra civile. Non è quindi un caso che (per fare solo un esempio) mentre si combatteva contro la pandemia e contro l’infodemia, insieme alla metafora della guerra si è anche diffuso l’uso di un certo tipo di categorie (il tradimento, l’abiura, la fucilazione, le spie etc.), per stigmatizzare gli atteggiamenti di coloro che esprimevano o condividevano opinioni ed informazioni variamente qualificate come disinformation.
  • Si tratta di un effetto (solo apparentemente) paradossale: la lotta alla disinformation è stata spiegata e legittimata anche come necessario antidoto nei confronti di processi di polarizzazione dell’opinione pubblica, alimentati dalle dinamiche informative che si svilupperebbero in rete, ed in particolare negli ambienti informativi abilitati dai social media. Si vede bene però che – sul piano simbolico – la polarizzazione è anche la conseguenza di un certo modo di riconoscere e qualificare i discorsi, secondo le logiche della disinformation: difficile immaginare un assetto dell’opinione pubblica più polarizzato di quello che caratterizza una guerra civile, in cui chi non la pensa come noi, chi non condivide la nostra lettura della realtà, è derubricato a nemico, peggio: nemico interno, e quindi traditore.

Siamo affezionati all’idea che la democrazia sia un regime di governo in cui il fisiologico conflitto tra interessi distinti non viene negato, ma riconosciuto e portato a sintesi attraverso soluzioni di combinazione e compromesso tra questi interessi, nella salvaguardia dei diritti fondamentali. Nella misura in cui la lotta alla disinformation cospirasse alla militarizzazione del discorso pubblico, articolando le posizioni lungo la faglia amico/nemico, essa finirebbe per determinare effetti che risultano opposti a quelli che ne hanno giustificato l’introduzione.


[1] Per la sostanziale coincidenza morfologica tra la nozione di disinformazione e quella di propaganda, vedi: B. Ponti Il rilievo giuridico della disinformazione tra vecchi e nuovi media. Come noto, in effetti, il termine, in lingua russa, sta ad indicare niente di meno che l’impiego dei mezzi della propaganda nelle relazioni con l’estero.

[2] Il Consiglio europeo del 20 marzo 2015, nelle sue conclusioni, aveva ”stressed the need to challenge Russia’s ongoing disinformation campaigns and invited the High Representative, in cooperation with Member States and EU institutions, to prepare by June an action plan on strategic communication. The establishment of a communication team is a first step in this regard”.

[3] Cfr. Joint Framework on countering hybrid threats: a European Union response, JOIN(2016) 18 final; Action plan against disinformation, JOIN(2018) 36 final.

[4] È questa la mission istituzionale degli uffici della EEAS Strategic Communication Division e della connessa Task Forces (STRAT.2), inquadrati all’interno del Directorate for Strategic Communication and ForesightEuropean Union external action services.

[5]disinformation is a major challenge for European democracies and societies, and the Union needs to address it while being true to European values and freedoms. Disinformation undermines the trust of citizens in democracy and democratic institutions. Disinformation also contributes to the polarisation of public views and interferes in the democratic decision-making processes”, Action plan against disinformation, cit.

[6] https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/code-practice-disinformation

[7] https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/coronavirus-response/fighting-disinformation/tackling-coronavirus-disinformation_it

[8] Si noti, infatti che nel Code of practice on disinformation, al punto vii) si chiarisce che “Signatories should not be compelled by governments, nor should they adopt voluntary policies, to delete or prevent access to otherwise lawful content or messages solely on the basis that they are thought to be “false”.”

[9] Come si legge nei Terms of service di Meta, relativamente alla disinformation: “Tuttavia, nell’ambito della disinformazione, non siamo in grado di tracciare confini definiti. Il mondo è in continua evoluzione e ciò che è vero un minuto può non esserlo in quello successivo” (https://transparency.fb.com/it-it/policies/community-standards/misinformation, consultato il 23.03.2022).

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