Questa è una riforma furba, giocata tutta sulla comunicazione.
Il testo della legge costituzionale e quindi del quesito referendario è stato congegnato per suggestionare l’elettore non informato in due distinti modi: il primo, attraverso il richiamo a questioni molto sentite da parte dei cittadini, condizionati da campagne comunicative nei media e da parte del principale partito di opposizione (Movimento 5 Stelle), questioni che il Bagnai ha sinteticamente e felicemente condensato in due hashtag #castacriccacorruzione e #sesomagnatitutto, ovvero la degenerazione della politica, vista solo come depredazione delle risorse pubbliche e guadagno illecito sfruttando il potere, e il costo di questa politica, capace solo di spremere i cittadini con le tasse per i loro lauti stipendi e stili di vita. Da qui l’indicazione nel quesito della riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento delle spese dello Stato e l’abolizione del CNEL.
Il secondo attraverso la mitizzazione, quasi futurista, della velocità come straordinario requisito per risolvere ogni problema: il Governo deve essere già stabilito il giorno dopo l’elezione; le leggi non devono passare fra Camera e Senato con infiniti rimpalli, ma la prima deve poterle fare da sola e speditamente; il Governo deve avere la possibilità generale di legiferare (!) rapidamente per rispondere alle sfide globaliste, costringendo la Camera a mettere all’ordine del giorno qualunque provvedimento l’Esecutivo ritenga “essenziale” per l’attuazione del programma di governo (e cosa non lo è?) ed a deliberarlo in 70 giorni. Il mantra della velocità e della stabilità viene propagandato come la risposta alla farraginosità della politica, incapace di affrontare le necessità sociali perché ripiegata sui propri tempi di discussione, sempre in cerca di un compromesso per trovare una maggioranza che permetta di adottare una legge. Ed ecco quindi i nuovi articoli 70, 71 e 72 che rendono spedita l’approvazione delle leggi e danno strumenti moderni al Governo. Da qui l’indicazione nel testo del quesito del superamento del bicameralismo perfetto, sintesi di quella inutile lentezza burocratica che rallenta il Paese. Che ciò provochi una perdita di democrazia, intesa come confronto fra posizioni diverse e quindi sintesi, non viene percepito e se percepito viene superato dall’ossessione che ci perseguita dai tempi di Monti: il “fate presto”, ovvero l’emergenza continua e sempre incombente che segna i nostri tempi.
Evidentemente un quesito in tal modo congegnato che chiede in pratica se si vuole la soluzione a tutti i mali della politica, così come rappresentati nell’immaginario dell’elettorato, grazie ad un’informazione su di essi concentrata, non può che portare l’elettore non informato a rispondere sì. Solo facendo violenza a se stessi, ovvero andando al di là delle suggestioni del testo ed approfondendone i contenuti si comprende che quello che viene affermato, al di là che sia giusto o sbagliato, o non è vero, o è comunque inutile e dannoso.
Sul risparmio sappiamo ad esempio, perché ce l’ha certificato la Ragioneria dello Stato, che eliminare 215 senatori porta a minori spese pari a 49 milioni di euro (al netto del minore gettito fiscale), su una spesa corrente nel 2016 pari a 579 miliardi di euro. In pratica ogni cittadino che paga le tasse vedrà ridursi il suo carico di 0,90 centesimi all’anno. Sappiamo anche che il bicameralismo viene mantenuto, aggiungendo solo una pletora di altri sistemi di approvazione legislativa, confusi ed irrazionali (perché per fare osservazioni sulla legge di bilancio sono previsti 15 giorni? Perché per autorizzare l’applicazione della clausola di supremazia di cui all’art. 117 comma IV il Senato deve deliberare in 10 giorni?). Sappiamo altresì che il nuovo Senato sarebbe tutto tranne che camera dei territori, dato il grave squilibrio di rappresentanza al suo interno, con Regioni che da sole hanno il 14% della rappresentanza totale, in confronto ad altre che ne hanno il 2%, e con due Province che da sole rappresentano il 4% del totale dell’aula. Senza contare che il Presidente della Repubblica da solo nomina il 5% dei senatori, quasi un partito a sé…
Il CNEL viene abolito, ma i suoi dipendenti passano in toto alla Corte dei conti; le Province spariscono per riapparire all’interno delle Regioni, con tutti i suoi componenti, sotto la denominazione di Aree Vaste; il referendum propositivo viene ammesso, ma ci vorrà una legge costituzionale apposita (cosa che si potrebbe fare anche senza la riforma); le leggi di iniziativa popolare, rese molto più difficili, saranno più efficaci se lo prevederanno i nuovi regolamenti parlamentari (quindi, mentre in pratica si peggiora lo strumento, si promette in teoria un miglioramento…); e così via.
Si tratta pertanto di una serie di bugie o mezze verità vendute per certezze: perché tutto questo? La risposta è semplice: si dicono falsità per farsi votare una riforma che nei contenuti serve a tutt’altro e quello a cui serve probabilmente non riscuoterebbe l’approvazione dell’elettorato.
Il vero contenuto della riforma, come è stato detto anche recentemente su Asimmetrie in maniera autorevole, è la sottoposizione degli organi di funzionamento e di elaborazione legislativa del Paese ai vincoli dell’Unione europea. L’Esecutivo forte, non in quanto modificato nel suo funzionamento, ma in quanto titolare di un potere generale legislativo che può imporre al potere Legislativo (con buona pace del principio della separazione dei poteri, fulcro di ogni democrazia compiuta) la propria agenda normativa, relegando le Camere a mero luogo di approvazione di leggi elaborate aliunde (e non è detto che siano pensate dentro i confini nazionali…) è funzionale ad essere un’efficace cinghia di trasmissione delle volontà europee; il Senato di nominati e quindi fedeli al partito, diventa il custode dell’ortodossia europea, vigilando sull’applicazione delle normative europee sui territori, unico vero compito alla quale sono chiamati i Sindaci e Consiglieri regionali, al di là delle fantasiose e mirabolanti prerogative che l’art. 55 assegna a tale consesso, come il controllo sulla PA (!) o sulla reale esecuzione nel territorio italiano delle leggi (!!); la clausola di supremazia, prima accennata, in nome dell’interesse nazionale (concetto astratto ed elastico) permette al Governo di intervenire sulle Regioni riottose ad adeguarsi ai principi generali dettati dalla UE in materia come salute, sicurezza alimentare, istruzione, paesaggio ed altre fondamentali, Regioni che vengono legate costituzionalmente al rispetto dei principi di bilancio dettati dall’Europa. Questo è il vero scopo della riforma.
Evidentemente non è uno scopo propagandabile, considerata la pessima reputazione che l’Unione Europea gode, grazie anche alla stolidità dei suoi esponenti, presso la popolazione; ed allora ecco le utili bugie che parlano alla “pancia” dell’elettorato, le promesse di “magnifiche sorti e progressive” alle quali la riforma condurrebbe, fino a preconizzare investimenti, benessere e salute in caso di vittoria del sì e di converso squilibrio, povertà e rovina in caso di affermazione dei no, un “carota e bastone” già utilizzato con la brexit e con le elezioni americane e finora peraltro fallito, gettando nel panico chi vorrebbe consolidare un sistema liberista del quale i Trattati europei sono portatori. Da qui l’endorsement di politici esteri, banche d’affari, centri di potere, grandi industriali e poteri finanziari, tutti interessati a che l’Italia sia “messa in riga” una volta per tutte, come esempio per tutti.
Votare no in questo contesto diventa quindi non solo un gesto di riaffermazione della democrazia, ma un vero proprio atto di resistenza. Un atto dovuto se non vogliamo essere colonia di una UE che non ha interesse ai nostri problemi, ma solo ai nostri bilanci.
Luigi Pecchioli
a/simmetrie