Quando mercoledì 22 marzo il Presidente della Fed, Jerome Powell, ha comunicato il rialzo dei tassi di riferimento negli USA nella misura di 0,25%, durante la conferenza stampa ha aggiunto una importante affermazione a sostegno della propria decisione:
So, we also assess, as I mentioned, that the events of the last two weeks are likely to result in some tightening credit conditions for households and businesses and thereby weigh on demand on the labor market and on inflation. Such a tightening in financial conditions would work in the same direction as rate tightening. In principle, as a matter of fact, you can think of it as being the equivalent of a rate hike or perhaps more than that, of course it’s not possible to make that assessment today with any precision whatsoever. So, our decision was to move ahead with the 25 basis point hike and to change our guidance, as I mentioned, from ongoing hikes to some additional hikes maybe – some policy firming may be appropriate.
In sintesi, le autorità USA hanno ritenuto che le recenti crisi bancarie produrranno conseguenze, irrigidendo le condizioni di accesso al credito bancario, pesando quindi sulla domanda, sul mercato del lavoro e sull’inflazione. Tale fenomeno agirà nella stessa direzione del rialzo dei tassi, anzi potrebbe essere di intensità maggiore, anche se attualmente non è possibile fare una valutazione più precisa. Da qui la decisione di contenere il rialzo dei tassi in 25 punti base e cambiare l’orientamento per il futuro, non prevedendo più rialzi costanti ma solo alcuni rialzi qualora opportuni.
Entra così prepotentemente in scena il tema del credit crunch, cioè della disponibilità di credito che si affianca, fino a superarlo in importanza ai fini del rallentamento della domanda, all’aumento dei tassi.
Le parole di Powell non sono rimaste affatto isolate ed hanno avuto eco anche nell’eurozona. Il governatore della banca centrale slovacca Peter Kazimir ha ammesso che il ritmo di rialzo dei tassi potrebbe rallentare perché c’è il «rischio reale» di riduzione del credito bancario. Dello stesso tenore le dichiarazioni della tedesca Isabel Schnabel che, pur constatando l’assenza di particolari deflussi di depositi dalle banche dell’eurozona, prevede che ci possa comunque essere un irrigidimento delle condizioni di accesso al credito con evidente effetto disinflazionistico, la cui misura però è tutta da determinare.
Per capire le dimensioni del fenomeno, tornano utili i dati su prestiti e depositi pubblicati dalla BCE lunedì 27 marzo, alla luce dei quali sembra proprio che quanto ipotizzato da Powell per gli Usa, nell’eurozona e soprattutto in Italia, sia già diventato realtà. Si tratta di dati aggiornati a fine febbraio dai quali emerge la sostanziale tenuta dei prestiti alle famiglie, il cui stock si attesta intorno ai 680 miliardi con una crescita annuale del 2,7%, sostanzialmente in linea con quella degli ultimi anni.
Ben diverso è l’andamento dei prestiti alle imprese, con un tasso di crescita annuo che, per il secondo mese consecutivo, è molto vicino allo zero. Su livelli che ricordano da vicino il “decennio perduto” dell’economia italiana. Cominciato col governo Monti nel 2011 e proseguito fino all’inizio del lockdown, con livelli record di crediti in sofferenza ed una crisi bancaria di proporzioni epocali. Lo stock di prestiti alle imprese si è attestato a fine febbraio a 658 miliardi, quando 12 mesi fa era pari a 675 miliardi. Una riduzione in termini nominali già molto significativa, ma se si considera il contemporaneo aumento del tasso di inflazione con l’indice IPCA in aumento su base annuale del 9,9%, il peggioramento in termini reali è ancora più evidente.
È di tutta evidenza che almeno i finanziamenti alle imprese a sostegno del capitale circolante (tipicamente di durata inferiore ai 18 mesi) avrebbero dovuto avere un significativo aumento a causa dell’incremento dei prezzi. Il maggior valore delle merci in magazzino e dei crediti verso clienti – per citare le voci più banali – non può non aver condotto le imprese a richiedere ed utilizzare maggiori fidi bancari, di cui però non c’è traccia nelle statistiche.
Osservando gli analoghi dati relativi a Germania e Francia, sembra un fenomeno tipicamente italiano. A Berlino a febbraio è stata registrata una crescita annuale dei prestiti alle imprese del 9,5%, ed a Parigi del 7,7%.
Non è certamente un bel segnale per la nostra economia ed è l’ennesima prova della pericolosità di un’unica politica monetaria per 20 diversi Paesi. Se tale tendenza dovesse essere confermata nei prossimi mesi, sarebbe la prova che il rialzo dei tassi (partito a luglio 2022 nell’eurozona) e la minore liquidità del sistema bancario stanno già producendo effetti restrittivi sui volumi del credito e, di conseguenza, sulla crescita.
Fonti
Transcript of Chair Powell’s Press Conference, March 2023. https://www.federalreserve.gov/mediacenter/files/FOMCpresconf20230322.pdf
Hornak D., ECB’s Kazimir Says Hikes Should Persist But Maybe at Slower Pace, Bloomberg, March 2023. https://www.bloomberg.com/news/articles/2023-03-29/ecb-s-kazimir-says-hikes-should-persist-but-maybe-at-slower-pace?sref=Rzgw8SkH
Miller R., Randow J., ECB’s Schnabel Says Eurozone Banks Haven’t Seen Deposit Outflows, Bloomberg, March 2023. https://www.bloomberg.com/news/articles/2023-03-29/ecb-s-schnabel-says-eurozone-banks-not-seen-deposit-outflows?cmpid=BBD033023_OEU&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_term=230330&utm_campaign=openeurope&sref=Rzgw8SkH
https://sdw.ecb.europa.eu/reports.do?node=1000003190
Prezzi al consumo (dati provvisori) – febbraio 2023, Istat. https://www.istat.it/it/archivio/281464