Nell’articolo “Il male della banalità” pubblicato su a/simmetrie il 15 luglio si riconosceva, portando l’esempio della Grecia, l’impossibilità per qualsiasi formazione della cosiddetta “sinistra” di affrancarsi dalla gabbia dell’europeismo di maniera, fatto di significanti senza significato e di slogan ad effetto che non hanno alcun nesso con la realtà dei fatti. Come scrivemmo:
«È ormai evidente che quest’Unione Europea è totalmente irriformabile, perché è incompatibile con la democrazia; pertanto non si pone più alcuna questione su quali cambiamenti siano necessari per renderla migliore. Fanno sorridere gli appelli delle variopinte anime belle delle varie sinistre movimentiste sulla necessità di ridisegnare le regole europee, i parametri e i patti di stabilità, allo scopo di contrastare le politiche di austerità, visto che nella gabbia della moneta unica e dei trattati europei non c’è possibile redenzione. Il ricorso ad improbabili iniziative referendarie od elettoralistiche, su queste basi, è quindi destinato all’irrilevanza».
Questo è uno dei punti fermi da tenere sempre presenti, se non si vuole cadere nell’inconsistenza di una prassi fine a se stessa o, cosa peggiore, in un’operazione di cosiddetto “gatekeeping” che serva solo ad intercettare voti per impedire la formazione di forze politiche che possano essere veramente utili per contrastare la crisi nella quale versa il nostro Paese e il nostro continente e, cosa più importante, per modificare la situazione attuale creando una vera alternativa politica.
Ci pare, pertanto, indispensabile cercare di smascherare i tentativi di questo tipo, condotti nell’ambito della cosiddetta sinistra, che cercano di raccogliere in un contenitore elettorale le anime erranti di coloro che non si riconoscono (o non si riconoscono più) nel partito di governo[1], che non è altro che una formazione di figuranti, guidata da un comico di avanspettacolo di second’ordine, asservita pedissequamente agli ordini dell’Oberkommando di Bruxelles e alle èlite economiche che ne dettano l’agenda.
Questi tentativi di aggregazione vengono, in genere, promossi da sparuti manipoli di inconsistenti personaggi politici, che cercano di radunare questa sparpagliata galassia attorno a fatui slogan che stigmatizzano, in maniera vacua e inconcludente, le politiche di austerità che “ci chiede l’Europa” (senza però analizzarne le reali cause), e che fantasticano su “un’altra Europa”, un “Europa politica”, un “Europa dei popoli”, e altre simili svenevolezze.
Non è evidentemente bastato l’esempio di quel “contratto elettorale a progetto” denominato con l’ossimoro “L’altra Europa con Tsipras”, ispirato al simpatico ex primo ministro ellenico che, con la sua abile azione politica, ha ottenuto i brillanti risultati che tutti conosciamo (“«Omai», diss’ io, «non vo’ che più favelle,/ malvagio traditor; ch’a la tua onta/ io porterò di te vere novelle»” Inferno, 32: 109-111). Il fatto che alcuni di costoro vogliano intraprendere iniziative referendarie per contrastare l’austerità, come il de cujus, è quanto mai risibile, vista l’efficacia di quello svoltosi in Grecia (e non poteva essere altrimenti, dato che i quesiti trattavano degli effetti e non delle cause).
È pertanto evidente come tutte queste iniziative di creare formazioni a sinistra del partito-non-più-di-sinistra non possano essere nulla più che:
- Pargoleggiamenti adolescenziali applicati all’agire politico;
- Tentativi di sopravvivenza “al riparo della durezza del vivere” (ossia nel comfort e nei privilegi della vita parlamentare) di alcuni personaggi che saranno, molto probabilmente, epurati dalle liste dei candidati di quel partito alle prossime elezioni;
- Qualcosa di assai più sinistro, ossia operazioni di maskirovka (come si diceva in Unione Sovietica) volte a impedire l’aggregazione di un reale dissenso alla prassi politico—economica dell’Unione Europea (l’euro in primis, ma non solo) e a “sterilizzare” un’eventuale bacino elettorale che possa riconoscersi in questo dissenso.
Tutte queste forze sono accomunate, de facto, dalla caratteristica di focalizzare l’attenzione su questioni secondarie o su epifenomeni (stigmatizzazione dell’austerità senza riconoscerne le cause, promozione di “diritti cosmetici” infarcita di sdilinquimenti emotivi) senza mai individuare le reali priorità (che evidenzieremo più avanti), con lo scopo di costituire, più che altro, una sorta di ricettacolo elettorale in modo da garantire anche la loro sopravvivenza politica in un’epoca di liste precostituite. In questo ci sembra molto simile all’operazione messa in piedi dal duo comico Grillo-Casaleggio.
In queste operazioni di “depistaggio”, si tende sempre a criticare “quest’Unione Europea”, “queste politiche di austerità”, “questo euro” e “questa banca centrale”. Purtroppo non si tratta di criticare e rigettare le “queste” cose elencate.
Un’altra Europa è possibile? Davvero? Ma davvero davvero? Emerge ormai chiaramente come la costruzione europea, così com’è, non sia stata oggetto del caso o di un destino ingrato, ma sia stata elaborata e costruita scientemente, nel “lungo periodo”, e seguendo un disegno ben preciso, accuratamente tessuto lungo almeno settant’anni[2]. Non è stata, pertanto, un accidente della storia o una deviazione dal cammino virtuoso indicato dai “padri nobili”[3]. Come hanno documentato gli scritti di Alberto Bagnai, Luciano Barra Caracciolo e Vladimiro Giacchè, per citare soltanto coloro che più si sono spesi nell’attuale dibattito sull’argomento, non si tratta di contestare e rigettare “quest’Unione Europea” o “questo euro”, ma l’Unione Europea e la moneta unica tout court.
Ciò che accomuna le anime erranti della cosiddetta sinistra è l’incapacità di cogliere e selezionare le priorità che caratterizzano questo momento storico e politico del nostro paese e del nostro continente, un’incapacità talmente palese da farci appunto subodorare l’operazione di gatekeeping che abbiamo accennato. Cosa v’è di meglio, a ben pensarvi, per un partito di governo totalmente supino alle politiche europee che stanno distruggendo la democrazia e la trama sociale del nostro paese (e sono in contrasto con la nostra Carta Costituzionale), che avere un’opposizione di facciata, che vede il dito e non la luna, priva di una strategia e di un disegno politico consistente, incapace di individuare le reali cause dei problemi in cui siamo immersi e, pertanto, di affrontare le priorità che abbiamo di fronte?
Come scrive Luciano Barra Caracciolo:
«Si tratta di priorità che, tra maggioranza e opposizione, si inscrivono tutte, saldamente, all’interno dell’idea (neo)ordoliberista della limitazione del perimetro dello Stato, della riduzione dei “costi della politica”, della moralizzazione del costume attuata sui fenomeni estrinseci e suggestivi (casta-corruzione-sprechi-costi della politica), fallendo totalmente di cogliere la sostanza dei problemi:
- a) di democrazia sostanziale (costituzionale, in senso proprio e non solo legato alle alchimie organizzative e elettoral-istituzionali);
- b) di equilibrio e crescita economica effettivi;
- c) di corretta distribuzione dei redditi in attuazione dei principi inderogabili della Costituzione.»[4]
Da questo punto di vista, l’operazione più riuscita, ci sembra quella messa in atto dal duo comico già citato: la creazione di un movimento tenuto assieme da alcuni slogan su questioni dal sicuro impatto emotivo (la corruzione, la “malapolitica”, un po’ di ecologismo, che non guasta mai, come insegnano i gesuiti), che cambiano nel tempo, adeguandosi allo Zeitgeist, senza tuttavia porre mai al centro dell’attenzione le vere priorità (se non proponendo un referendum consultivo sull’euro che è un ottima ricetta per un suicidio economico di massa).
E già, la menzogna assoluta contiene sempre in sé il proprio contrario.
Se non si individuano le priorità reali (o se si decide deliberatamente di ignorarle) è impossibile condurre un’azione politica che possa essere davvero utile ed incisiva.
Queste priorità le abbiamo indicate chiaramente nell’articolo citato:
«Per cercare di riportare il ruolo dello Stato a quello indicato dalla Carta è necessario un ruolo proattivo dello stesso, ovvero la possibilità di finanziare la ripresa con l’iniezione di moneta nel sistema economico tramite la spesa pubblica, anche a deficit. È pertanto indispensabile uscire dalla unione monetaria, abbandonare la moneta unica e ripristinare il controllo del potere esecutivo sulla Banca Centrale, unico modo per consentire l’effettivo possesso degli strumenti per effettuare una politica economica efficace. Questo implica, ovviamente, il pieno controllo della politica fiscale, che deve agire nell’interesse del Paese e non a favore delle oligarchie europee che hanno concepito i parametri del trattato di Maastricht e hanno costretto l’Italia a introdurre il vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione art. 81.
Affinché l’Italia possa salvarsi dalla spirale di declino nella quale è caduta, è essenziale poter promuovere le politiche sociali e ambientali, quelle volte alla piena occupazione, alla cura dei beni dello Stato, la pubblica istruzione, nonché tutte quelle politiche economiche che si ritengono strategiche per il futuro del Paese.
[…]
Data la gravità della situazione, riteniamo, pertanto, che sia necessario avviare un percorso di “resistenza”, che inizi a riunire la sparpagliata galassia di quelle forze che possano contrastare questo processo esiziale. L’emergenza è tale che è necessario costituire un vero e proprio Comitato di Liberazione Nazionale, che si riconosca necessariamente in pochi ma inderogabili principi:
- Ripristino della Costituzione e, di conseguenza,
- Sovranità politica
- Sovranità monetaria»
Alla luce di quanto detto, riteniamo quindi assai pericolosi i tentativi, come quello messo in atto[5] dall’impalpabile Civati e da quel Cofferati la cui posizione politica è riassunta in questo pregevole siparietto interpretato assieme al compagno Luttwak, di dare vita a neoformazioni (termine che, nel vernacolo medico, viene adoperato come sinonimo di neoplasia) che non riconoscano le vere priorità da affrontare (come si può evincere dal programma).
Oggi, più che mai, è essenziale riconoscere questi tentativi di creare finte alternative per quello che sono: finzioni, maskirovka e gatekeeping, perché, se avessero successo, allontanerebbero vieppiù dalla speranza di risolvere la crisi in cui versa il nostro Paese.
Andrea Magoni
Pier Paolo Dal Monte
Ugo Boghetta
[1] La cui prassi e la cui teoria sono più simili alla destra repubblicana USA, o al partito laburista di Tony Blair, non a caso l’un assieme all’altro armati nei vari tentativi di “esportazione della democrazia”
[2] Vedi: Brooker, C,, North, R. (2005). The great deception. Continuum, London-New York
[3] E sulla nobiltà di quest padri vi sarebbe molto da discutere. Vedi Brooker, C, cit
[4] Orizzonte 48: Riforma Costituzionale e finanziamento, del 10 settembre 2015
[5] Che ha mutuato il proprio nome dalla spagnolola Podemos (caratterizzata anch’essa da un eccesso di slogan e scarsità di analisi, come peraltro il compagno Tsipras). Il che ci fa capire che la sinistra italiana è talmente carente di idee e di inventiva da non essere in grado di fare qualsosa di più che una pedissequa imitatio alii