Era il 22 maggio del 2013, a Matera. In una sala assiepata di pubblico concludevo la presentazione di un mio libro. Partono le domande. Esordendo con l’ormai liturgico “io non sono un economista ma…”, un signore distinto parte in tromba: “non penso che il problema sia l’euro, perché il nazionalismo, i beni comuni, Luciano Gallino…”. E io, asciutto nei limiti della cortesia: “Gallino cambierà idea”. Infatti, 853 giorni dopo, il 22 settembre 2015, su «Repubblica» Gallino ci illumina: l’Italia può e deve uscire dall’euro. “Bene”, direte voi: “sarai soddisfatto! È venuto dalla tua parte, quindi invece di fare lo schizzinoso, accoglilo a braccia aperte, come ti consiglia il Vangelo di Luca!” Calma! Che l’euro penalizzi l’economia italiana, che il Fiscal compact sia insostenibile, sono ovvietà. Purtroppo ha ragione Vladimiro Giacché: oggi l’ovvio è rivoluzionario.
Quindi, il fatto che esso venga finalmente ammesso da studiosi che a sinistra godono di prestigio nella legione degli “io non sono un economista ma…” è di per sé “progressivo” (come dice chi se ne intende). Tuttavia, ritengo che, dopo la conversione di Francesco Giavazzi, per par condicio anche quella di Gallino richieda un commento. Stiamo parlando infatti della stessa persona che il 26 settembre 2011, intervistato da «Sbilanciamoci», definiva “pura follia” il ritorno alle valute nazionali, sparando cifre totalmente a vanvera sull’ipotetico cambio della nuova lira (come notai stizzito). Se nel caso di Giavazzi, che è un economista (quindi…) l’analisi del percorso compiuto avrebbe un indubbio valore scientifico, nel caso di Gallino, che non è un economista (ma…) essa avrebbe un indubbio valore politico.
Ritengo che se Gallino avesse veramente capito, gli sarebbe difficile convivere con la pesante responsabilità di essere stato uno fra i più ascoltati sciamani del pensiero magico europeo, uno dei più roboanti megafoni degli slogan populisti a base di “Stati Uniti d’Europa contro i nazionalismi”, “l’euro è solo una moneta”, e via vaneggiando. Io che sono un economista (quindi…) mi permetto un consiglio: ora che ha cambiato idea, liberi la sua coscienza, e spieghi il percorso che lo ha portato su posizioni di buon senso. Aiuterebbe così a seguirlo le tante persone fuorviate dalle sue passate dichiarazioni, e darebbe così piena efficacia politica al suo gesto.
Ma… avrà veramente capito? Qualche dubbio rimane, perché fra svarioni giuridici (“recessione” invece di “recesso”) ed economici (la consueta spruzzata di terrorismo), Gallino glissa completamente sulla radice del problema: l’insanabile deficit di democrazia causato dall’indipendenza della Bce, cioè dal potere conferito a un burocrate non eletto di ricattare governi sovrani. Questo perché Gallino non è un economista, quindi non gli balza agli occhi quello che a un economista è evidente: con i suoi obiettivi fissi di crescita monetaria, la Bce è creata a immagine e somiglianza di quel monetarismo reaganiano che Gallino astrattamente contesta, ma in pratica difende, quando difende i Trattati europei. Certo, ora che questo sistema ha palesato in Grecia tutta la sua violenza totalitaria, il suo disprezzo per gli elettori, chi lo ha sostenuto è in imbarazzo.
Ma fare il tecnico in casa altrui non è il modo migliore per uscirne: meglio sarebbe far chiarezza sulle proprie motivazioni politiche, e rispettare le altrui competenze tecniche. Caro lettore: nel caso non sia già successo, cambierai idea anche tu. Lo farai, se non altro, perché anche gli sciamani, come vedi, lo stanno facendo. Nel frattempo, se ti capiterà di assistere alla presentazione di un mio libro, invece dell’ormai frusto “io non sono un economista ma…”, prova con un più consequenziale e originale: “Io non sono un economista quindi…”. Ne usciremo tutti meglio.
Alberto Bagnai
Il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2015