Traduzione a cura di Rododak del post di Panagiotis Grigoriou, postato originariamente su Greek Crisis.
Primavera conclamata. Le trasmissioni mattutine delle radio di Atene ricordano volentieri che è il giorno dell’equinozio, il 21 marzo. Tempo di celebrare, realizzando se possibile questa condensazione simbolica e voluta dello spazio reale. Nel Peloponneso o nel Golfo Saronico la gente del posto prepara le reti da pesca e i gatti vagabondi stanno a guardare. Il tempo si ferma, mentre la storia probabilmente ci scivola via tra le dita. Equinozio!
I tavolini fuori dai caffè si riempiono, “perché la povertà richiede la sua parte di Dolce Vita”, come dice il proverbio greco, anche questo ricordato a volontà dai conduttori dei programmi radio della mattina. Sotto l’Acropoli, dove nelle ore della mattina è sempre bello chiacchierare davanti a un caffè, le arterie della città non conoscono più gli stessi ingorghi del passato, ed è una forma di dolcezza furtiva e fragile, che a suo modo ricorda agli abitanti alcuni aspetti della vita essenziali oltre ai bisogni primari – meno soddisfatti rispetto al passato, questo va detto.
«Sì, siamo qui, nonostante le aperte ostilità di questa guerra ibrida e totale, che riassume del resto il residuo essenziale di quello che è già questo nuovo secolo. Nonostante l’emorragia, nonostante le partenze per l’estero delle ormai assottigliate schiere di giovani greci, nonostante il tradimento tipico e perfino nevrotico dei politici, una certa Grecia è ancora qui, e resiste perché esiste. Che cosa altro possiamo fare, del resto, non siamo più in grado di impostare la minima attività di quello che resta della nostra vita, matrimoni, passeggiate, viaggi, nascite, il lavoro, il pensionamento… guerra o pace», insiste il giornalista Yorgos Choudalakis della fascia mattutina su 90.1 FM (21 marzo).
«Siamo qui, siamo in tanti, ovunque in tutto il Paese chi ha la forza di resistere si è organizzato, siamo quindi la maggioranza reale di fronte alla meschinità del governo e dei politici, ci sono cellule resistenti e capaci di organizzarsi pienamente nella vita di tutti i giorni, nei quartieri, nell’esercito, sul posto di lavoro», sentiamo ancora da questa stessa radio FM durante il giorno (cito a memoria).
Durante questo tempo enorme, le associazioni culturali dei greci macedoni (sia in Grecia sia all’estero), attraverso i loro avvocati, avvertono i 300 deputati, che «nel caso in cui i parlamentari approvino un testo di legge che riconosce la Macedonia slava senza tenere conto della cultura e della storia greca e soprattutto mettendo a rischio a lungo termine l’integrità territoriale della Grecia, ebbene, questi deputati ne subiranno tutte le conseguenze in termini di diritto penale, per esempio per violazione della Costituzione. In altre parole, questi funzionari eletti si assumono il rischio di un processo per alto tradimento, con la pena capitale o in alternativa la reclusione a vita», come riporta la stampa greca della settimana. Il presidente sirizista del “Parlamento”, Nikos Voútsis, si è offeso, ovviamente. Peccato che non abbia colto l’atmosfera che regna in questo momento nel paese reale. Primavera o meno.
I giornali a volte tornano sul caso Savvídis (il presidente russo-greco della squadra PAOK di Salonicco, che allo stadio ha fatto irruzione nel campo molto evidentemente armato, causando l’interruzione della partita tra PAOK e AEK di Atene). E tuttavia Ivan Savvídis, dopo essersi scusato pubblicamente per l’episodio, ha immediatamente chiesto l’intervento di Vladimir Putin nel caso dei due soldati greci detenuti in Turchia. La traduzione in greco della lettera inviata da Ivan Savvídis in qualità di Presidente delle Comunità Elleniche in Russia al Presidente della Federazione Russa, è stata subito ampiamente diffusa dalla stampa greca, a partire dal quotidiano “Kathimeriní”.
Tranne che non tutti ormai ci prestano davvero attenzione. La preoccupazione quotidiana molto spesso tormenta il corpo e la mente. Nel paese greco reale, ad esempio, gli anziani continuano a essere costretti a fare i lavoretti più strani per sopravvivere, mentre alcuni ristoranti innovativi, “popolari” (e a buon prezzo) nel centro di Atene, aperti solo poco tempo fa, sarà un annetto, sono già falliti. Solo i governanti di Syriza e la loro camarilla possono raccontare ai loro amici europei di sinistra tra Bruxelles e Parigi che “la Grecia va meglio e la crescita è in arrivo”. In Grecia, al contrario, tutti ormai ammettono che il tempo politico dei criminali, truffatori e cinici della banda di Tsipras è più che finito. Così, semplicemente.
“Dovrebbero essere tutti giustiziati per tradimento”, dice così Manólis, meccanico di un garage vicino ad Atene, anche quando non sono i suoi clienti a iniziare a parlarne. Ci sono quelli che resistono e non si lasciano distruggere dal genocidio economico che la Grecia conosce da quasi otto anni, ma ci sono anche tutti quelli che affondano nella depressione, equinozio di marzo o meno.
Una vicina di casa, che ho incontrato dopo diverse settimane, mi confessa la sua disfatta: «Avevo il mio lavoro in banca, sono stata licenziata come tante altre migliaia di persone, a 53 anni non troverò nulla per guadagnarmi da vivere, non esco più di casa, mi suiciderò…», ed è la seconda persona tra i miei conoscenti che si esprime in questo modo. Questa è la Grecia invisibile, quella che non uscirà più a bere il suo piccolo caffè della resistenza quotidiana, se necessario offerto dagli amici, ed è la stessa Grecia che dovremmo sostenere per prima.
Perché, tra le altre cose, i greci hanno ormai capito che i rari pseudoaiuti che il “governo” fantoccio fa mostra di distribuire alla popolazione degli impoveriti (nella migliore delle ipotesi 200 euro al mese), saranno concessi solo se i potenziali beneficiari sono stati costretti a liquidare tutti i loro beni immobili o altro (veicoli, motocicli, piccole imbarcazioni). Questo è fondamentalmente il cuore della politica che il FMI e l’UE impongono, nella realtà: distruggere completamente la classe media e rendere i cittadini totalmente dipendenti, fragili e soprattutto soggetti ad altri.
La società greca stringe i denti e, a parte i caffè e i piccoli ristoranti abbastanza pieni, i turisti curiosi spesso non vedono altro. Digrignare i denti, dunque, ed ecco la “scoperta”, riportata dalla stampa in occasione della settimana dedicata alla salute dentale in Grecia: “Siamo alla catastrofe”. Ormai gli impianti hanno lasciato il posto alle dentiere, “siamo ritornati agli anni ’60”, si è letto qua e là, e abbiamo appreso anche che lavorano ancora nella sanità pubblica solo 650 dentisti nell’intera Grecia.
Gli altri, anche loro a denti stretti, hanno lasciato in massa il Paese per andare a esercitare altrove, nel Regno Unito o in Germania, come riporta il quotidiano “Proto Thema” del 19 marzo 2018. Contemporaneamente, per completare l’espropriazione diffusa e sistematica, si è appresa dalla stampa, dietro la solita verbosità siriziana, con il suo sinistrese di facciata, l’ultima grande novità a proposito del fisco greco: attualmente esegue circa 700 pignoramenti al giorno di immobili o altre proprietà.
Alla fine dell’anno, con questo ritmo, si arriverà a più di 250.000 sequestri all’anno e se ipotizziamo che per ognuno siano coinvolte dalle tre alle quattro persone, ebbene, si toccherà il milione di persone interessate, ovvero quasi il 10% della popolazione, e in un solo anno. C’è stato un periodo durante la Grande Guerra, per esempio, in cui si parlava di “salasso umano”, quando l’esercito francese perdeva in media 1.000 uomini al giorno, caduti sul campo dell’onore. Altri tempi, altre morti!
Il paese sprofonda nell’irrazionalità, prima “dall’alto”, poi più ampiamente anche dal basso. Tuttavia, l’amoralità e l’affarismo dei politici vanno ben oltre le analoghe pratiche popolari. “Non siamo mai stati così corrotti come ora”, sentiamo ripetere nei caffè di Atene e altrove. Vicende umane. La primavera è ufficialmente iniziata, i nostri animali “adespoti” (senza padrone) ci osservano, probabilmente più dei “cibernetismi” umani di tutti i tipi. Bel paese. Parcheggi vuoti ad Atene, menti altrettanto vuote o mal parcheggiate, pubblicazioni sull’argomento necessariamente diplomatiche, la leggenda di Re Artù, il patchwork greco, un intero poema!
Animali senza padrone, quindi, reti da pesca, il tempo che si ferma e la storia che ci scorre tra le dita, tranne che “la povertà richiede la sua parte di Dolce Vita”. Tutto il meraviglioso del sogno e dell’immaginario che resta si restringe a questo incrocio tra assurdità e hybris, eppure nel buio del secolo si accende un bagliore abbagliante.
Come scriveva (prima di morire) uno scrittore tessalico poco noto, Aléxandros Zoukas: «Le leggende nascono in campagna, questo è il motivo per cui i governi alimentano la campagna con le leggende. Che siano antiche o contemporanee, le leggende sono sempre vive, sorgono in ogni occasione per ricordarci gli ideali del popolo, i valori tradizionali o più attuali, per tenerci su, mantenerci desti dal torpore della prosperità», (“Casablanca”, tradotto da Isabelle Tloupas, Desmós, “La Thessalie”, 2011).
Ma anche le leggende stesse muoiono, a volte per rinascere, soprattutto in questi tempi in cui il torpore della prosperità non è che un lontano ricordo. La vicina di casa che ho riincontrato dopo tante settimane, confessa di essere sconfitta non solo dalla situazione, ma anche dallo stupore legato allo shock: «Pensavo che la nostra situazione sarebbe durata fino alla fine, sempre: lavoro, miglioramento economico, pensione… e invece il nostro intero edificio è crollato».
Ancora una primavera greca, le trasmissioni serali delle stazioni radio di Atene avranno ampiamente evocato questo equinozio del 21 marzo, e nel Peloponneso si preparano ancora le reti da pesca.
«È ora che me ne vada. Conosco un pino che si china sul mare. A mezzogiorno offre al corpo stanco un’ombra misurata come la nostra vita, e la sera, attraverso ai suoi aghi, il vento canta una strana canzone come di anime che abbiano cancellato la morte al momento di diventare di nuovo pelle e labbra. Una volta, sono rimasto sveglio tutta la notte sotto quell’albero. All’alba ero nuovo, come se fossi appena stato scolpito dalla cava. Se solo si potesse vivere così! Non importa», scriveva il grande poeta Georges Seferis nel 1932 da Londra e aveva ragione.
La nostra Mimi di “Greekcrisis” dorme spesso, per effetto della distanza che le è propria tutta la ressa che prevale nelle nostre vicende umane a quanto pare non le dice proprio nulla. Equinozio. Se solo si potesse vivere così!
Panagiotis Grigoriou
Greek Crisis, 21 marzo 2018