In questi drammatici giorni, la Grecia ha dimostrato, nella maniera più tragica, l’impossibilità per qualsiasi forza della cosiddetta “sinistra” di affrancarsi dalla gabbia dell’euro e di prendere pienamente coscienza che l’Unione Europea, e il coacervo di trattati sui quali si fonda, sono espressione del più becero neoliberismo, dal quale è assente ogni sia pur tenue traccia di democrazia.
In questi giorni stiamo assistendo, una volta di più, allo smascheramento del vero volto di quest’istituzione totalitaria e del suo braccio armato, la BCE che, come volgari strozzini di una qualsiasi organizzazione mafiosa ricattano un governo nazionale, legittimamente eletto, e pretendono di sostituirlo con una tecnocrazia di proprio gradimento. Operazione che è paragonabile, pur se non effettuata con mezzi esplicitamente violenti ai golpe etero diretti avvenuti nei paesi i cui governi erano sgraditi alle èlites economico-finanziarie sovranazionali.
È ormai evidente che quest’Unione Europea è totalmente irriformabile perché incompatibile con la democrazia: non si pone più alcuna questione su quali cambiamenti siano necessari per renderla migliore.
Fanno sorridere gli appelli delle variopinte anime belle delle varie sinistre movimentiste sulla necessità di ridisegnare le regole europee, i parametri e i patti di stabilità, allo scopo di contrastare le politiche di austerità, visto che nella gabbia della moneta unica e dei trattati europei non c’è possibile redenzione. Il ricorso ad improbabili iniziative referendarie od elettoralistiche, su queste basi, è quindi destinato all’irrilevanza.
Quest’ingenuità politica è talmente grossolana, da sconfinare nella complicità e nel collaborazionismo con quelle forze che stanno distruggendo le democrazie e i popoli d’Europa, e stanno mettendo in serio pericolo quella pace il cui merito, con ingenuità ancora maggiore, viene attribuita ad esse, perché, in realtà è ed è sempre stata pax americana e non pax europea.
Quali forze politiche, esistenti o in fieri possono quindi farsi carico di un mutamento di rotta politico, economico e, soprattutto, culturale? Se si pensa all’Italia, certamente non il PD del “noi siamo quelli dell’euro”, oppure il vario campionario di insignificanti formazioni alla sua “sinistra”, come SEL, indistinguibile dal fratello maggiore, o il PRC del “no all’austerità, sì all’euro!”. Nel resto d’Europa, peraltro il quadro non è migliore: le cosiddette “sinistre riformiste” sono scomparse (Pasok) o sono perfettamente inglobate (come il PD) nel quadro neoliberale europeo, mentre le cosiddette “sinistre radicali” (Die Linke, Izquierda Unida, Front de Gauche) dimostrano drammatiche incapacità ad orientarsi nel rapido mutamento del quadro internazionale, rifugiandosi nel vagheggiamento di un’irrealizzabile idea d’Europa incuranti delle cogenti necessità dei popoli e dei lavoratori.
D’altro canto, le nuove formazioni, come Syriza e Podemos, sembrano più essere una sorta di ricettacolo elettorale, atto a raccogliere il consenso di coloro che soffrono per le politiche di austerità, con vacue proposte, ma non certo in grado di prescindere da una cornice europeista immaginaria che è già morta e sepolta dalla “testa dura” dei fatti.
Tutto questo dimostra l’incapacità, per qualsiasi formazione della sedicente sinistra, di affrancarsi ideologicamente dalla gabbia dell’euro. Persino il simpatico dilettante Atene, pur di non mettere in discussione l’appartenenza della Grecia a questa gabbia, ha preferito trasformarsi in carnefice del proprio popolo.
Tuttavia, se ragioniamo in termini storici (anche se è una storia piuttosto recente), e ci limitiamo ai confini del nostro Paese, è facile comprendere i motivi che sottostanno a quest’europeismo di maniera. Negli ultimi 25 anni, ovvero dopo il crollo del muro di Berlino, per la sinistra italiana, vi sono state unicamente due ragioni d’essere. La prima è stata la mera logica di appartenenza/sopravvivenza, coagulata attorno a slogan senza alcun significato fattuale come “più Europa”, il “sogno europeo”, “l’Europa ci ha garantito 60 anni di pace”, “Stati Uniti d’Europa” e altre amenità di questo tenore. La seconda è stata la creazione di una nemico, dipinto come il male assoluto (Silvio Berlusconi), contro il quale fare un fronte (più o meno) comune.
Ciò che ha fatto da collante è la volontà di rinuncia alla sovranità, l’ideologia del “vincolo esterno” che, nel secondo caso, si è manifestato sottoforma di letterina della BCE e nella spirale anabatica eterodiretta dello spread; entrambi i “vincoli” sono stati fondamentali per il successo del golpe non violento che rovesciò il governo Berlusconi (che, piaccia o no, era stato legittimamente eletto dagli italiani).
Per ciò che riguarda la prima ragion d’essere di quest’insulsa e sedicente sinistra, invece, le cose sono un po’ più complesse, anche se facilmente comprensibili. Se l’ideologia scompare in vacui slogan e vi è la totale assenza di un disegno politico strategico e sensato, la ragion d’essere di una parte politica si riduce al mero perseguimento del potere, nella cura delle varie clientele o nella ricerca di confortevoli cariche politiche che possano mantenere al riparo della “durezza del vivere”. Cosa c’è di meglio, quindi dell’appellarsi al “ce lo chiede l’Europa”, per giustificare l’inettitudine al governo della cosa pubblica?
Si può facilmente comprendere come una disordinata congerie di tal fatta, accomunata soltanto da queste politiche, o meglio, da questa assenza di politiche, non possa far altro che propagandare quest’europeismo cosmetico, senza peraltro comprendere che le caratteristiche fattuali di questa cosiddetta “Unione Europea”, non possono avere altro risultato che quello di sgretolare le nazioni e i cittadini e, in ultima analisi distruggere la democrazia e la pace nel nostro continente.
La morale di questo discorso, si può riassumere in poche parole: è impossibile essere di sinistra, ovvero proteggere il lavoro, essere contro l’austerità e difendere l’euro.
Per cercare di tratteggiare gli scopi e il possibile percorso di una alternativa politica a questo stato di cose, è opportuno delineare ulteriormente le caratteristiche di ciò che è necessario combattere, anche per mettere una pietra tombale sulle proposte sconclusionate che, con una certa regolarità scaturiscono dalle menti confuse di vari esponenti della politica, del giornalismo o dai cosiddetti “intellettuali” («le genti dolorose/c’hanno perduto il ben de l’intelletto»): il “più Europa” su tutti.
La cosiddetta “Unione Europea”, come abbiamo già accennato, si basa su una competizione economica forsennata, sulla compressione dei salari e sulla distruzione della domanda interna, tramite una concorrenza spietata tra gli stati, in un processo di corsa al ribasso del benessere, dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. Il risultato sono le misure di austerità imposte da poteri illegittimi che hanno provocato e aggravato la crisi nella quale ci troviamo.
La costrizione in un sistema di cambi fissi, la cosiddetta moneta unica, gestita da una banca centrale sovra nazionale e “sovra giuridica”, che ha sfacciatamente usurpato i poteri delle istituzioni democratiche nazionali, e gli scellerati patti di “stabilità” che ne fanno da corollario, impediscono agli Stati l’attuazione di qualsivoglia politica fiscale e valutaria, ovvero qualsiasi politica che possa agire da stimolo all’economia (politiche anticicliche), tutto questo nella violazione più palese dei principi costituzionali.
L’assenza di controllo della banca centrale da parte dei governi, ha lo scopo di impedire il finanziamento monetario dei paesi che ad essa sottostanno, ovvero, nel divieto di agire, da parte della banca centrale medesima, da cosiddetto “prestatore di ultima istanza” per lo Stato. Questo ruolo, ora precluso, permetteva di calmierare il tasso di interesse sui titoli di stato, consentendo ai governi di tenere sotto controllo il costo del finanziamento del debito. Il fine ultimo di tutto ciò, è quello di costringere gli stati a rivolgersi ai mercati per le proprie esigenze di finanziamento, con la conseguente maggiore spesa per interessi e una minore disponibilità per altre spese come sanità, istruzione, assistenza, previdenza (avanzo primario).
Questo costituisce anche una potente arma di ricatto nei confronti dei governi recalcitranti a seguire i diktat europei. Quest’ ultimo aspetto fu assai evidente nel caso della caduta del governo Berlusconi nel 2011: sotto la pressione pilotata dello “spread” fu prontamente sostituito dal governo più acquiescente verso gli altrui interessi. Lo scopo di questo percorso scellerato è quella di abolire lo “stato sociale” che ha caratterizzato le nazioni europee nel dopoguerra e privatizzare i settori menzionati.
Per ciò che riguarda il nostro Paese, il fatto di aver accettato regole che hanno reso i governi democraticamente eletti ostaggi dei mercati, costituisce una evidente e gravissima violazione dei principi della Costituzione. Le classi politiche attuali, in totale spregio della Carta Costituzionale, stanno conducendo l’Italia su una strada di rapido declino che ne sta sconvolgendo profondamente la trama sociale e le istituzioni democratiche. È vergognoso assistere alla messa in mora della Costituzione della Repubblica in nome della sudditanza ai diktat delle oligarchie europee, espressione di centri di potere economico-finanziari, il cui scopo è la soppressione della democrazia e dei diritti dei cittadini e dei lavoratori.
Che fare?
Data la gravità della situazione, riteniamo, pertanto, che sia necessario avviare un percorso di “resistenza”, che inizi a riunire la sparpagliata galassia di quelle forze che possano contrastare questo processo esiziale. L’emergenza è tale che è necessario costituire un vero e proprio Comitato di Liberazione Nazionale, che si riconosca necessariamente in pochi ma inderogabili principi:
- Ripristino della Costituzione e, di conseguenza;
- Sovranità politica;
- Sovranità monetaria.
La Costituzione della Repubblica Italiana consegna la piena sovranità al popolo e definisce gli elementi economici e politici conciliabili con l’interesse dei cittadini. La Costituzione democratica e antifascista, nata dalla Resistenza non può coesistere con il cosiddetto “trattato di Maastricht”, una vera e propria resa senza condizioni al più feroce e avido neoliberismo globalizzato.
Il ripristino dei principi della Costituzione non può prescindere da quel principio fondamentale che è la sovranità e l’indipendenza dello Stato, e la sovranità politica non può essere disgiunta dalla sovranità economica e monetaria: per cercare di riportare il ruolo dello Stato a quello indicato dalla Carta è necessario un ruolo proattivo dello stesso, ovvero la possibilità di finanziare la ripresa con l’iniezione di moneta nel sistema economico tramite la spesa pubblica, anche a deficit. È pertanto indispensabile uscire dalla unione monetaria, abbandonare la moneta unica e ripristinare il controllo del potere esecutivo sulla Banca Centrale, unico modo per consentire l’effettivo possesso degli strumenti per effettuare una politica economica efficace. Questo implica, ovviamente, il pieno controllo della politica fiscale, che deve agire nell’interesse del Paese e non a favore delle oligarchie europee che hanno concepito i parametri del trattato di Maastricht e hanno costretto l’Italia a introdurre il vincolo del pareggio di bilancio nella Costituzione art 81.
Affinché l’Italia possa salvarsi dalla spirale di declino nella quale è caduta, è essenziale poter promuovere le politiche sociali e ambientali, quelle volte alla piena occupazione, alla cura dei beni dello Stato, la pubblica istruzione, nonché tutte quelle politiche economiche che si ritengono strategiche per il futuro del Paese.
A questo proposito, è d’obbligo prescindere dai luoghi comuni propri della visione del mondo neoliberista contro il ruolo dello stato nell’economia, perché sarà necessario un forte intervento statale pubblico, anche tramite la creazione di un nuovo Istituto di Ricostruzione Industriale, per ripristinare quelle filiere produttive che sono state gravemente compromesse dalla crisi e per sostenere e riorganizzare l’economia di distretto, caratteristica precipua del nostro Paese. Inoltre sarà importante individuare quelle attività che sono monopolio naturale, e che sono state privatizzate nei decenni passati, perché siano rese nuovamente di proprietà pubblica. Allo stesso modo si agirà nei confronti delle attività in sofferenza nei settori che siano individuati come strategici, così come quelle che abbiano agito in contrasto con l’art. 41 della Costituzione privatizzando utili e socializzando perdite.
La riconquista della sovranità nazionale porta alla necessità e di una ridefinizione della collocazione dell’Italia rispetto all’Europa, al Mediterraneo e, più complessivamente nel quadro internazionale.
La costruzione di un’alternativa, dovrà necessariamente prescindere dalle logiche di appartenenza. Si tratta invece di costruire nuove alleanze politiche e nuovi blocchi sociali per l’attuazione della Costituzione.
Oggi ha senso solamente parlare di blocchi sociali composti da carnefici e vittime, e le vittime sono tutti coloro che stanno soccombendo sotto il giogo delle politiche deflazionistiche dei carnefici di Bruxelles (e dei vari Quisling sparsi per i governi nazionali): lavoratori dipendenti pubblici e privati, artigiani, piccole e medie imprese, professionisti, commercianti, pensionati.
Poniamo quindi all’attenzione la necessità di elaborare culturalmente quelle linee di azione che consentano di aprire spazi a politiche sociali ed economiche non liberiste, nonché al coagularsi di forze che sappiano portarle fruttuosamente nello spazio politico italiano ed internazionale.
Andrea Magoni
Pier Paolo Dal Monte
Ugo Boghetta
[1] Indimenticabili sono I titoli di giornale del tempo, come quelli de L’unità o del Sole 24 ore
[2] Questo fenomeno è stato descritto da Alberto Bagnai in: (1) Il tramonto dell’euro, Imprimatur, 2012, e in: (2) L’Italia può Farcela, Il Saggiatore, 2014
[3] E altri lo hanno già spiegato meglio di noi, vedi Alberto Bagnai, o.p cit.(1) e (2); Luciano Barra Caracciolo, Euro e/o democrazia costituzionale, Dike, 2013; Vladimiro Giacchè, Titanic Europa, Imprimatur 2012 e Anschluss, Imprimatur 2013