L’amnesia di Giavazzi: e il cambio?

Alberto Bagnai 19 Settembre 2015

Nella sua replica al mio intervento del 16 settembre, Francesco Giavazzi rivendica di non aver mai cambiato idea sui vantaggi dell’austerità, e di aver segnalato fin dal 2010 il pericolo degli squilibri di bilancia dei pagamenti in un’unione monetaria. Ne ero al corrente. Peraltro, l’idea un po’ bislacca che in una unione monetaria questi squilibri, e quindi i debiti verso gli altri Paesi membri, non contino, era stata affermata solo da uno studio della Commissione europea datato 1990. Un lavoro criticato già nel 1991 da Tony Thirlwall, caposcuola degli economisti post-keynesiani, che in una audizione al Parlamento inglese sostenne l’opportunità di tenersi fuori dall’euro, e per fortuna degli inglesi venne ascoltato.

Giavazzi insiste sulla differenza fra tagli di spesa (benefici) e aumenti di imposte (malefici). Ne ero al corrente. L’idea che tagliando i redditi di dipendenti e fornitori (perché questo è la spesa pubblica) lo Stato faccia aumentare il reddito del paese è stata ampiamente contestata. Olivier Blanchard, coautore di Giavazzi, ha ammesso di aver cambiato idea su questo punto grazie alla crisi, e di aver imparato. Giavazzi invece sapeva tutto. Peccato che non abbia istruito il suo amico (la Grecia ringrazierebbe), e soprattutto che non illumini noi. Nell’ultimo articolo di Giavazzi, così prodigo di dati, mancano proprio quelli che avvalorano la sua tesi: tanti grafici, tante tabelle, ma poco che illustri la scomposizione delle manovre tra tagli di spese e aumenti di imposte.

Il punto però è un altro.

Se il problema sono gli squilibri con l’estero, allora diventa rilevante il tasso di cambio. Lo ammette, implicitamente, lo stesso Giavazzi, quando, come paese che ce l’ha fatta “grazie all’austerità”, cita il Regno Unito. A parte il fatto che nel Regno Unito la spesa pubblica non è diminuita con la crisi, ma è anzi aumentata per contrastare il ciclo, Giavazzi glissa sul fatto che la sterlina ha reagito alla crisi come i manuali di economia consigliano: svalutando di circa il 17%, per poi recuperare (vedi alla voce: Thirlwall). Insomma, Giavazzi fa con l’Inghilterra quello che Roberto Perotti, nel suo Il mito dell’austerità, sconsigliava di fare con la Svezia: attribuire all’austerità una ripresa favorita anche e soprattutto dall’aggiustamento del cambio.

L’euro è stato il più grande successo della dottrina economica e la più grande catastrofe della professione economica. Tutte le previsioni della scienza economica si sono verificate: dalla deflazione (prevista da Paul Krugman), al manifestarsi di tensioni internazionali (previste da Nicholas Kaldor). Ma questo successo è diventato la Caporetto degli economisti, perché molti di loro continuano a sostenere nel dibattito tesi smentite dalla dottrina. Una vicenda che mi colma di una grande amarezza, appena temperata dalla soddisfazione di aver avuto l’occasione di uno scambio con un economista che è senz’altro il più autorevole fra tutti quelli che, come me, hanno capito quanto stava succedendo prima di alcuni, e dopo molti altri.

Alberto Bagnai
Il Fatto Quotidiano, 18 settembre 2015

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