La discussa sentenza della Consulta sulle pensioni ha avuto un merito indubbio: quello di far capire quale sia la posta in gioco nell’evoluzione politica innescata dalla crisi. L’oggetto del contendere non sono i conti dello Stato, ma il modello stesso di Stato, e in particolare le relazioni fra i suoi poteri. Sono rivelatrici in questo senso le parole del ministro Padoan, secondo il quale la Corte costituzionale, in quanto massima istanza del potere giudiziario, avrebbe dovuto “cooperare” con gli altri poteri dello Stato, e in particolare con l’esecutivo (cioè con lui).
Detta così la frase appare inoppugnabile: quello di cooperazione è un concetto intrinsecamente positivo. Basta però grattare la superficie patinata del messaggio per rendersi conto che qualcosa non va. Ricordo con rispetto come la scienza politica abbia teorizzato la separazione fra poteri dello Stato affinché questi potessero controllarsi reciprocamente. Il reciproco controllo non esclude la cooperazione, ma nemmeno la implica. Non vi sembra strano che chi loda sempre il supremo valore della concorrenza, quando poi sono in gioco i diritti dei cittadini auspichi invece soluzioni collusive fra i poteri del Leviatano?
Ma accettiamo pure questa logica: noteremo allora che introducendo in Costituzione il principio del pareggio di bilancio, cioè imponendo l’austerità oggi tanto deprecata, il Parlamento ha leso il diritto al lavoro (art.4 della Costituzione) e quello a una retribuzione tale da garantire un’esistenza libera e dignitosa (art. 36). Prima di farlo ha forse “cooperato” con la Suprema Corte? No, né doveva farlo. Bene: così oggi la Suprema Corte non deve dialogare né cooperare con poteri che hanno preso una decisione come la riforma Fornero, sbagliata non solo in termini giuridici, ma soprattutto in termini fattuali. Ricordiamoci che quella rifor ma venne fatta accettare sull’onda emotiva di una emergenza inesistente: i conti pubblici non erano mai stati in pericolo, come confermarono a danno fatto la Commissione europea (nel Sustainability Report del settembre 2012) e lo stesso ministro Padoan l’8 luglio del 2014.
Chiaro a cosa servono i controlli? E poi, quanti sono i poteri dello Stato? Lo dichiarò Beniamino Andreatta a «Il Sole 24 Ore» del 26 luglio 1991. Oggi sono quattro: legislativo, esecutivo, giudiziario e monetario. Guarda caso, quelli che vogliono una Corte costituzionale “cooperativa” sono anche quelli che hanno eretto a feticcio l’indipendenza assoluta della Banca centrale. Eppure, la necessità di svincolare dall’esecutivo il controllo della moneta si basa su un presupposto che la crisi sta smentendo ogni giorno di più: quello che “stampando moneta” si crei inflazione. La necessità di tenere la creazione di moneta lontana dai politici (corrotti per definizione) scaturirebbe da qui, dalla necessità di evitare quell’inflazione che invece ora tutti auspicano. Schizofrenia a parte, la spiegazione non tiene.
Avrete notato che Draghi, prima del QE, ha versato 1.000 miliardi di euro di LTRO sull’Eurozona. Risultato? Deflazione! Quindi l’inflazione non dipende meccanicamente dalla moneta “stampata”: dipende invece dalla domanda di beni, cioè dalla moneta spesa, e in una depressione come quella attuale, nella quale tutti gli operatori sono paralizzati dal panico, un governo può essere certo che la moneta emessa venga spesa solo se la spende lui. In altre parole, senza finanziamento monetario della spesa sarà molto difficile rianimare la domanda e l’economia.
Lo ha scritto anche Luigi Zingales su «Il Sole 24 Ore», il 20 agosto scorso, ma i dogmi sono dogmi: in questa Unione di Stati uguali, dove uno è più uguale degli altri, i poteri dello Stato sono indipendenti, ma uno, la Banca centrale, è più indipendente degli altri, ed è quindi quello che effettivamente governa, facendo e disfacendo governi fantoccio. Lo scontro quindi non è fra l’egoismo dei pensionati e la lungimiranza del governo, fra vecchi che difendono i propri assurdi privilegi (così ce li presenta la stampa) e un governo di giovani che fa gli interessi dei giovani. Lo scontro è fra chi vuole uno Stato con tre poteri regolati da checks and balances, e chi ne vuole uno dove tre poteri dipendono da un quarto che non risponde a nessuno, che nessuno controlla, e in esecuzione dei cui ordini vengono fatte le “riforme” che sbriciolano i nostri diritti. Siamo ancora in tempo per opporci a questa deriva autoritaria.
Alberto Bagnai
Il Fatto Quotidiano, 24 maggio 2015